AIDC - Associazione Italiana Dottori Commercialisti
11/05/2023 |
Norma di comportamento n. 219 |
COMMISSIONE NORME DI COMPORTAMENTO E DI COMUNE INTERPRETAZIONE IN MATERIA TRIBUTARI
NORMA DI COMPORTAMENTO N. 219
REDITI D’IMPOSTA NON SPETTANTI E INESISTENTI
Maggio 2023
Il credito d’imposta si definisce non spettante laddove il contribuente, pur nell’intento di rispettare il presupposto normativo, commette degli errori di qualificazione o quantificazione dello stesso. Viceversa, il credito d’imposta è da definirsi inesistente nei casi in cui la determinazione del credito sia avvenuta in assenza di documentazione o sulla base di documentazione non veritiera.
La definizione di credito inesistente rileva in quanto l’articolo 27, comma 161, D.L. 29.11.2008 n. 185, stabilisce che l’atto di recupero emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati in F24 per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione orizzontale, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo2 .
Inoltre, l’articolo 13, D.Lgs. n. 471/1997, prevede una sanzione più elevata nel caso in cui sia utilizzato un credito inesistente, rispetto a quella prevista nel caso in cui sia utilizzato un credito non spettante; in particolare: - al comma 4, dispone che nel caso di utilizzo di un credito d'imposta3 in misura superiore a quella spettante4 sia applicabile5 la sanzione del 30% del credito; - al comma 5, che nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti sia applicabile6 la sanzione dal 100% al 200% del credito7 .
Non sfugge la rilevanza della corretta determinazione della misura della sanzione, anche con riferimento al ravvedimento operoso che venga posto in essere dal contribuente.
La definizione di credito inesistente è demandata al terzo periodo del comma 5, art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, il quale dispone che: “Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”. Il comma 5 identifica dunque come inesistente il credito in relazione al quale manchi, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, D.P.R. n. 600/1973, e all’articolo 54-bis, D.P.R. n. 633/1972.
Ciò atteso, appare evidente come la prima parte della definizione del credito inesistente offerta dalla norma non sia discriminante, in quanto l’insussistenza anche parziale del presupposto costitutivo determina la sua inesistenza sulla base della chiara evidenza del dato normativo. Discriminante, quindi, è la sola seconda parte della definizione, nella quale si fa riferimento alle attività che l’Amministrazione finanziaria pone in essere per controllare le dichiarazioni presentate dal contribuente, nell’ambito di quelli che sono i poteri di controllo finalizzati alla c.d. liquidazione ed al c.d. controllo formale delle dichiarazioni.
Con particolare rilievo alla seconda ipotesi, vi è da rilevare che le disposizioni in materia di controllo formale possono esplicitarsi, a differenza della mera attività di liquidazione, nell’esame della documentazione richiesta al contribuente o comunque nella disponibilità dell’Agenzia delle Entrate8.
Per conseguenza, posto che la sola astratta applicabilità delle disposizioni contenute nel DPR n. 600 del 1973 ovvero nel DPR n. 633 del 1972 esplicitamente richiamate nell’ambito dell’art. 13, comma 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997, non può comportare, per definizione, che un credito non possa essere definito inesistente, la distinzione prevista dalla norma deve tenere conto, in generale, dei poteri esercitabili dall’Amministrazione finanziaria9 . Deriva che, a prescindere dalla modalità di controllo esercitabile, laddove il presupposto normativo alla base del credito sia soddisfatto dal contribuente sulla scorta di documentazione attendibile e veritiera, il credito non potrà mai essere definito inesistente. In questa ipotesi, laddove il contribuente abbia errato nel riporto, nella quantificazione ovvero nella qualificazione della fattispecie, la rettifica operata dall’Amministrazione finanziaria dovrà essere ricondotta alla fattispecie del credito non spettante. Viceversa, laddove in sede di controllo si rilevi che è stato indicato un credito in assenza di documentazione o sulla base di documentazione non veritiera, detto credito dovrà essere ascritto alla categoria dell’inesistenza.
VIENE RICHIAMATA LA NORMA SUL RIVERSAMENTO DEL CREDITO D'IMPOSTA R.&S.
Ciò premesso, al fine di rilevare una chiara linea di demarcazione tra le due fattispecie, appare possibile tenere conto del disposto dell’articolo 5, D.L. n. 146 del 2021. Tale norma, infatti, seppure finalizzata a regolamentare la specifica sanatoria in tema di credito di imposta per ricerca e sviluppo, contiene alcune indicazioni che possono assumere, nei termini sopra descritti, la valenza di principi generali, e, pertanto, in grado di rappresentare un orientamento con riferimento alla problematica qui affrontata.
Si tenga conto, infatti, che la norma da ultimo richiamata delinea due ipotesi che, alternativamente, consentono o non consentono, l’accesso alla sanatoria in questione:
- la prima fattispecie, che apre l’accesso alla sanatoria, è quella dell’avvenuto effettivo sostenimento di spese correlate ad attività di ricerca e sviluppo che, però, siano state erroneamente ricomprese tra quelle che davano diritto al credito di imposta. Sono inoltre ammessi alla sanatoria anche coloro che hanno commesso errori nella quantificazione o nell’individuazione delle spese ammissibili in violazione dei principi di pertinenza e congruità, nonché nella determinazione della media storica di riferimento;
- la seconda fattispecie, che, al contrario, impedisce l’accesso alla sanatoria, riguarda quelle posizioni nelle quali la determinazione e l’utilizzo del credito sia il risultato di assetti che appaiano oggettivamente o soggettivamente simulati, di false rappresentazioni della realtà basate sull’utilizzo di documenti non veritieri o di fatture che documentano operazioni inesistenti, nonché nelle ipotesi in cui manchi la documentazione idonea alla dimostrazione delle spese ammissibili al credito di imposta.
Appare chiaro come il legislatore abbia dunque voluto distinguere le ipotesi nelle quali i contribuenti abbiano effettivamente svolto una attività di ricerca e sviluppo comprovata da documentazione attendibile, ma che abbiano commesso, ad esempio, degli errori interpretativi sulla natura delle spese ovvero di quantificazione del credito di imposta, rispetto alle ipotesi in cui la genesi e l’utilizzo del credito sia avvenuta avvalendosi di documentazione non veritiera, ovvero in assenza di ogni e qualsiasi documentazione.
CONCLUSIONI
Ciò posto, la medesima distinzione appare potersi ricondurre al disposto dei commi 4 e 5 dell’articolo 13, D.Lgs. n. 471/1997, nel momento in cui si deve individuare il distinguo tra il credito non spettante e il credito inesistente. A tale fine si può dunque affermare che:
- in tutti i casi in cui il contribuente si trovi nella situazione di fatto disciplinata dalla norma per la determinazione del credito di imposta e sia sostenuto da documentazione reale, ma incorra in violazioni riconducibili all’interpretazione delle disposizioni ovvero alla determinazione quantitativa del credito, non si avrà mai una contestazione per inesistenza del credito, ma solo per non spettanza, sanzionabile nella misura più contenuta e nel termine di decadenza ordinari;
- nei casi in cui, invece, la determinazione del credito sia avvenuta in assenza di documentazione o sulla base di documentazione non veritiera, tale violazione sarà sanzionabile nella misura più grave e nel termine di decadenza più lungo previsto per il credito inesistente10 .
RASSEGNA STAMPA
ItaliaOggi 12 Maggio 2023
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