Ravvedimento operoso impraticabile
se il credito è radicalmente fittizio
La totale assenza di documentazione che giustificasse il credito d’imposta utilizzato in compensazione, induce a escludere che la società sia incorsa in un errore inevitabile
L’utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta per i progetti di ricerca, ottenuti indebitamente in quanto tale attività era del tutto inesistente, non consente al contribuente di avvalersi del ravvedimento operoso, ex articolo 13 del Dlgs n. 472/1997. È la conclusione contenuta nella sentenza n. 31/02/21 della Commissione tributaria provinciale della Toscana, depositata il 25 febbraio.
La fattispecie riguarda una pizzeria, costituita in Srl, che aveva utilizzato in compensazione il credito d’imposta previsto dal Dl n. 70/2011 per le imprese che finanziano progetti di ricerca in università, compiendo 8 distinte compensazioni.
Convocata per il contraddittorio, la pizzeria concordava con l’Ufficio circa la non veridicità del credito, tanto da non esibire neppure un documento. Tuttavia, il giorno dopo, intendendo avvalersi del ravvedimento operoso, riversava la posta indebitamente compensata, con sanzioni ridotte a 1/8 del minimo.
L’Ufficio, invece, di fronte all’assoluta inesistenza di attività di ricerca, notificava l’avviso di accertamento, recuperando l’intero importo del credito e irrogando sanzioni pari al 100%, ai sensi dell’articolo 13, comma 5, Dlgs n. 471/1997.
La società quindi proponeva ricorso, sostenendo di aver commesso un errore e insistendo per l’applicazione del ravvedimento operoso.
La Ctp ha escluso l’applicazione di tale istituto premiale: “L'assenza di documentazione alcuna in merito al presupposto del credito di imposta utilizzato in compensazione, induce ad escludere che l'agente sia incorso in errore inevitabile”.
La possibilità di sanatoria è, infatti, circoscritta alla commissione di “errori ed omissioni”, formula intesa a ricomprendere, tra i primi, tutti gli errori (di fatto, di calcolo e di diritto) e, tra le seconde, tutte le omissioni che si riferiscano all’esposizione di componenti di reddito o di notizie.
Nulla a che vedere col caso di specie, ove invece il contribuente approfittando di una norma agevolativa chiaramente inutilizzabile e aspettando di essere “colto in fallo”, si era scientemente precostituito un credito e l’aveva utilizzato non una, ma ben 8 volte, per poi riversare il maltolto dopo essere stato scoperto dall’Amministrazione.
Non si era trattato, dunque, di regolarizzazione tardiva o di ritardato adempimento agli obblighi fiscali, ma di restituzione di un credito generato ad arte e “in nessun modo può aver commesso un semplice errore, o tanto meno una omissione, chi abbia consapevolmente frodato l’erario” (circolare n. 180/1998).
L’esimente di cui all’articolo 13, Dlgs n. 471/1997, infatti, è applicabile alle sole ipotesi di infedeltà caratterizzate da una condotta del contribuente non insidiosa per l’Amministrazione finanziaria, nonché dall’assenza di frode.
Guarda caso, il contribuente non aveva restituito spontaneamente le somme compensate, ma solo a seguito dal contraddittorio con l’Ufficio, quando ormai era stata svelata la palese inesistenza del credito.
Va rilevato che sussiste una sostanziale differenza tra un credito inutilizzabile ed uno radicalmente nullo: il primo, esiste ed è spettante, ma è spendibile solo in presenza di certi presupposti, il secondo è un credito fittizio, privo di riscontro in assoluto.
Si prenda il caso del credito Iva, utilizzabile per importi superiori a 15 euro annui, solo con l’apposizione del visto di conformità alla dichiarazione dei redditi: qui la mancata apposizione del visto non determina l’inesistenza del credito, ma la sua inutilizzabilità con obbligo di restituzione e debenza delle sanzioni per “indebita compensazione”.
Nel caso in esame, invece, il contribuente aveva utilizzato un credito che può essere generato solo dall’effettivo svolgimento di un’attività scientifica, che la pizzeria mai aveva posto in essere.
La differenza è ben più che radicale: nel primo caso, il credito esiste, ma non è momentaneamente utilizzabile, nel secondo, il credito non esiste affatto ma è stato utilizzato per il pagamento di imposte dovute.
Né più né meno di un’operazione totalmente inesistente.
Potrebbe obiettarsi che la recentissima circolare n. 31/2020 ha ammesso l’applicazione del ravvedimento operoso esattamente nel caso in cui l’Ufficio accerti che “le attività/spese sostenute non siano ammissibili al credito d'imposta ricerca e sviluppo”, così configurandosi “un'ipotesi di utilizzo di un credito «inesistente» per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo ” .
Invero, la fattispecie sottoposta alla Ctp di Prato non è in alcun modo assimilabile a quella oggetto della circolare: infatti, i giudici toscani hanno appurato che la pizzeria aveva utilizzato il credito d’imposta “senza aver finanziato alcun progetto di ricerca, importo che poi fu riversato all’erario a seguito della richiesta dei giustificativi da parte dell’Agenzia delle Entrate”.
Il documento di prassi, invece, fa riferimento al caso in cui l’Ufficio – dopo aver effettuato controlli, anche “di carattere tecnico” – accerti che l’attività compiuta non rientra tra quelle “di ricerca” suscettibili di agevolazione, ovvero che i costi non sono congrui o pertinenti.
A ben vedere, nel caso de quo, nessuna “attività/spesa” poteva essere sottoposta a controllo da parte dell’erario, perché nessuna attività/spesa era mai stata realizzata; né c’era nulla da ravvedere o correggere, trattandosi piuttosto della fittizia creazione di un credito.