Le imprese a secco di incentivi
Giuseppe Chiellino 17 giugno 2012
Una montagna di soldi. Quasi 35 miliardi di euro nel 2010 se ne sono andati in incentivi pubblici alle imprese. Almeno così potrebbe sembrare a guardare il conto economico della Pubblica amministrazione. Ma è solo un pericoloso effetto ottico perché, secondo l'analisi pubblicata sull'ultimo numero di "Nota dal CSC" del Centro studi Confindustria, alle imprese industriali ne arrivano meno di tre.
Lo studio, condotto da Alessandro Fontana, cerca di fare chiarezza districandosi nel ginepraio di fonti che «genera grande confusione e si presta ad un uso inappropriato e talvolta strumentale dei dati». Il nodo, infatti, è che sugli incentivi alle imprese «esistono ben cinque fonti ufficiali»: il conto economico della Pa, la Commissione europea, il ministero dello Sviluppo economico, quello dell'Economia e il Met (Monitoraggio economia e territorio). Ognuno di questi soggetti "dà i numeri" ma ciascuno si riferisce ad agevolazioni diverse, a soggetti beneficiari diversi e utilizza diversi metodi di calcolo.
Per rasserenare chi, guardando il conto economico della Pa, resta - giustamente - scandalizzato per quei 34,6 miliardi spesi nel 2010 (dati Istat) occorre chiarire subito che qui «gli incentivi alle imprese vengono riportati insieme a molti altri trasferimenti a imprese e ad altri operatori che tutto sono - scrive il CsC - tranne che incentivi». Nel conto economico della Pa e in quello di cassa dello Stato, infatti, sono riportati i trasferimenti a tutti i settori, tra cui istruzione, difesa, ordine pubblico, attività ricreative e di culto, abitazioni e assetto del territorio. Sotto la voce affari economici, poi, sono inclusi i trasporti, le comunicazioni, l'energia e l'agricoltura, oltre alle attività manifatturiere e all'edilizia. Solo i trasporti assorbono più di 17 miliardi, quasi la metà dell'intero ammontare. Si tratta di risorse destinate a compensare i concessionari del trasporto pubblico locale per le tariffe decise non con criteri di mercato ma «con logiche politiche di supporto agli utenti. Di fatto – si legge – si tratta di trasferimenti alle famiglie, effettive ultime beneficiarie». Istruzione, comunicazioni, edilizia pubblica e attività culturali e di culto assorbono tra un miliardo e un miliardo e mezzo ciascuna. «Il sostegno finanziario a scuole o università private non è certo un sostegno all'attività economica del Paese, quanto piuttosto un modo per compensare un ente (per lo più senza fini di lucro) per un servizio considerato di utilità sociale» si legge nello studio. Ma c'è dell'altro: nel calderone sono considerati incentivi alle imprese anche i trasferimenti a Rai, Telecom, Fs, Poste ed Enav a cui vanno più di 5,7 miliardi.
Sgombrato il campo visivo da questa distorsione, occorre capire quali siano le cifre realmente in gioco per l'industria in senso stretto. «Se l'obiettivo è avere un'indicazione sulla spesa in incentivi alle imprese a carico del bilancio pubblico italiano, e non anche quello Ue, per finalità di politica industriale - afferma lo studio - la cifra più rappresentativa sono i 4,5 miliardi indicati per il 2010 dalla Commissione europea». La Dg Concorrenza e aiuti di Stato della Commissione monitora gli aiuti pubblici per garantire che gli incentivi non alterino il mercato unico. Si tratta di una cifra molto vicina ai 5,1 miliardi indicati dal ministero dello Sviluppo che comprendono, a differenza del dato Ue, anche i fondi comunitari e gli aiuti "de minimis" (sotto i 200mila euro).
Dei 4,5 miliardi calcolati da Bruxelles, alle imprese industriali «arrivano circa 3 miliardi. Un importo non molto lontano – si legge – dai 2,7 miliardi indicati dal Met per l'industria in senso stretto e i servizi alla produzione». La differenza dipende soprattutto dalla non perfetta sovrapposizione tra le definizioni di industria utilizzate nei due calcoli.
Per completezza, nel 2007 il Met calcolava 3,5 miliardi e 6,1 miliardi nel 2002. Sui 2,7 miliardi del 2010, di 660 milioni erano destinati all'aeronautica, 370 al credito d'imposta per ricerca e sviluppo, 190 al credito agevolato per le esportazioni. Il resto era suddiviso tra fondo ricerca Far, contratti di programma, auto impiego, legge 488 e credito d'imposta per investimenti.
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