Per la mancata concessione del contributo, responsabile il professionista
Secondo la Cassazione, inoltre, la valutazione probatoria per la liquidazione del danno spetta ai giudici di merito
Il danno al cliente provocato dalla condotta negligente del professionista va risarcito. Le valutazioni probatorie delle circostanze di fatto effettuate dal giudice di merito ai fini della liquidazione del danno, se motivate secondo un iter argomentativo privo di vizi logico-giuridici, non sono censurabili in sede di legittimità.
È quanto stabilito dalla Cassazione, nella sentenza n. 6922 di ieri, 8 maggio 2012.
La vicenda al centro della controversia attiene ad una domanda di risarcimento danni proposta nei confronti di un professionista a causa dell’asserito inadempimento dell’incarico conferitogli dalla propria cliente per la predisposizione di un’istanza di concessione di un finanziamento pubblico, poi negata dall’Amministrazione competente.
La domanda di risarcimento veniva accolta in primo grado e, respinto l’appello del professionista, confermata in secondo grado.
In particolare, secondo la Corte territoriale, a provare il nesso di causalità tra la prestazione del professionista e il danno subito dalla cliente, consistente appunto nel mancato conseguimento del contributo, vi era la lettera di archiviazione dell’istanza di concessione dei contributi, che dava atto della presentazione fuori termine e non ammissibile di parte della documentazione (nello specifico, di alcune fatture e di una parcella notarile che avrebbero permesso di raggiungere l’ammontare complessivo dei costi di investimento richiesto per il rilascio del contributo oggetto di causa). Ciò bastava per ritenere fondata la responsabilità per negligenza del professionista, considerato anche il fatto che, dagli elementi dell’istruttoria, non risultavano altre ragioni per il diniego dell’istanza, ove fosse stata tempestivamente e correttamente presentata e corredata.
Inoltre, in materia di onere probatorio, sarebbe spettato al debitore (il professionista), convenuto per l’adempimento (il risarcimento del danno), documentare il fatto estintivo della pretesa altrui (quindi, l’esatto adempimento), mentre il creditore (il cliente) avrebbe dovuto solo provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e allegare le circostanze dell’inadempimento del professionista. Corretta, poi, la liquidazione del danno effettuata dal Tribunale sulla base dei conteggi della cliente.
Il professionista, quindi, impugnava la pronuncia con ricorso in Cassazione, in principal modo censurando l’insufficiente o contraddittoria motivazione addotta in ordine al soddisfacimento della pretesa risarcitoria della cliente e la violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere probatorio in tema di responsabilità professionale.
Il ricorso viene rigettato dalla Cassazione. Innanzitutto – ha osservato la Suprema Corte – non sussiste alcun vizio motivazionale lamentato dal professionista, in quanto la cliente ben ha assolto all’onere probatorio: realizzazione dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato (il finanziamento richiesto) ma impedito dalla condotta negligente del professionista (istanza negata per presentazione non corretta), danno come conseguenza immediata e diretta della condotta del professionista stesso.
Il mancato ottenimento del contributo – ha spiegato la Cassazione – ha rappresentato per la cliente una perdita con natura di danno futuro e le valutazioni delle circostanze di fatto (gli oneri finanziabili) effettuate in sede di merito ai fini della sua liquidazione risultano essere state motivate secondo un iter argomentativo privo di vizi logico-giuridici, quindi, non censurabili in sede di legittimità.
Ancora – ha precisato la Cassazione – la mancata disposizione della consulenza tecnica d’ufficio da parte del giudice in ordine alla quantificazione del danno – di cui il ricorrente lamentava l’indispensabilità – non è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, qualora la consulenza stessa sia stata finalizzata a “sgravare” la parte dell’onere probatorio connesso.
Infine, nel caso in questione, non risulta alcuna violazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. e della sua corretta applicazione. Infatti, il giudice di merito ha sviluppato le proprie argomentazioni sulla base degli elementi probatori forniti dalla parte onerata, astrattamente idonee allo scopo e regolarmente acquisite.