4868 - Richiesta notizie dal Fisco: per farle valere occorre rispondere (www.fiscooggi.it - 17/1/2025)

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Richiesta notizie dal Fisco:
per farle valere occorre rispondere

I dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi, in seguito agli inviti dell’ufficio, non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente

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La Cassazione, con la pronuncia n. 29434 del 14 novembre 2024, ha statuito che, in tema di accertamento fiscale, l’invito dell’Amministrazione finanziaria a fornire dati e notizie assolve alla funzione di assicurare, in ossequio ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione operanti in materia tributaria, un dialogo preventivo tra Fisco e contribuente. Questo per definire le rispettive posizioni, mirando a evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, per cui la mancata risposta è espressamente sanzionata con la preclusione (in fase amministrativa e processuale) dell’allegazione di dati e della esibizione di documenti non forniti in fase procedimentale.

L’inutilizzabilità in argomento, che consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito ricevuto dalla Amministrazione, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio: essa non opera solo quando il contribuente, beneficiando della deroga (ex articolo 32, comma 5, del Dpr n. 600/1973), depositi unitamente all’atto introduttivo del giudizio di primo grado le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non trasmessi e, contestualmente, dichiari di non aver potuto adempiere alle richieste dell’ufficio per causa a lui non imputabile.

I fatti
A seguito di controlli eseguiti dalla direzione provinciale delle Entrate sulle dichiarazioni dei redditi presentate dal contribuente, per gli anni di imposta 2009, 2010 e 2011, e di indagini finanziarie autorizzate, l’ufficio ha chiesto al contribuente di giustificare opportunamente le operazioni effettuate sui conti correnti oggetto di segnalazione.
Il contribuente, a sua volta, ha chiesto una proroga del termine concesso dall’ufficio senza, poi, depositare alcun documento giustificativo di queste operazioni.
L’Agenzia delle entrate ha emesso, quindi, tre avvisi di accertamento, con cui recuperava a imposizione (ai fini Irpef, Irap e Iva) un maggior reddito per oltre tre milioni di euro.
In seguito, fallita la procedura di accertamento con adesione, l’ufficio ha disposto, in autotutela, la riduzione dei versamenti per l’anno di imposta 2009, rideterminando la base imponibile.

Il contribuente ha proposto tre distinti ricorsi innanzi alla Ctp, deducendo:

  • la violazione dell’articolo 42 del Dpr n. 600/1973
  • l’illegittimità degli atti impugnati per l’omesso espletamento del contraddittorio endoprocedimentale
  • la violazione dell’articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr n. 600/1973.

Riuniti i ricorsi, la Ctp li ha accolti parzialmente, riconoscendo alcune delle operazioni documentate in giudizio, per gli anni 2010 e 2011.
Il contribuente, pertanto, si è rivolto al giudice tributario regionale, riproponendo le doglianze già sollevate in primo grado.
L’ufficio ha interposto autonomo ricorso, volto a contestare le statuizioni relative agli accertamenti degli anni 2010 e 2011, in quanto le stesse erano state assunte sulla base della documentazione prodotta in giudizio dal contribuente in violazione della preclusione di cui all’articolo 32 del Dpr n. 600/1973.La Ctr, riuniti gli appelli, li ha accolti parzialmente: in particolare, il ricorso del contribuente è stato accolto limitatamente a diverse operazioni bancarie ritenute giustificate sulla base della documentazione prodotta in primo grado e in appello.
Il giudice regionale, inoltre, ha ritenuto superabile la richiamata preclusione, in ragione della complessità e difficoltà di acquisizione della documentazione richiesta coinvolgente contemporaneamente tre differenti annualità.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza della Ctr in Cassazione, affidando il proprio ricorso a un unico motivo: la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 32 del Dpr 600/1973, in relazione all’articolo 360, n. 3, del codice di procedura civile.

La norma
L’articolo 32 del Dpr 600/1973, rubricato “poteri degli uffici”, disciplina tutto ciò che gli uffici deputati all’accertamento delle imposte sui redditi possono fare per l’adempimento dei loro compiti.
In particolare, al comma 1, n. 3), prescrive che gli uffici possono invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, compresi i documenti di cui al successivo articolo 34.
La ratio della disposizione si rinviene nei principi di buona fede e leale collaborazione, che permeano i rapporti tra Fisco e contribuente e, a tal fine, l’articolo 32, al comma 4, prevede che le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi, in risposta agli inviti dell’ufficio, non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. L’ufficio deve informare di ciò il contribuente contestualmente alla richiesta.
Le cause di inutilizzabilità ora esposte, precisa il legislatore alla medesima norma in analisi (articolo 32, comma 5), non operano nei confronti del contribuente che depositi, in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque, contestualmente, di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.

Il giudizio di legittimità
La suprema Corte di cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria fondato, in ossequio alle seguenti argomentazioni.
In primo luogo, la Ctr ha ritenuto erroneamente superabili le preclusioni (ex articolo 32) e, dunque, utilizzabile la documentazione prodotta dal contribuente con il ricorso in primo grado e in appello, motivando sulla “complessità e difficoltà di acquisizione della documentazione richiesta”, mentre, sostiene la Corte di cassazione, la preclusione di cui alla norma in esame opera con riferimento a tutti i dati e documenti richiesti dall’Amministrazione finanziaria, tranne che il contribuente non dichiari, nel ricorso di primo grado, di non aver potuto adempiere alle richieste dell’ufficio per causa a sé non imputabile.
Dal punto di vista probatorio, inoltre, la Ctr ha ritenuto giustificabile la produzione documentale sulla base di detta “complessità” senza alcuna evidenza di una richiesta, da parte del contribuente, agli istituti bancari o di un ritardo colpevole di questi ultimi.
Inoltre, il giudice di secondo grado ha ritenuto fornita dal contribuente la prova contraria che, in realtà, è consistita in fatture e bonifici bancari non ben specificati.
I giudici di piazza Cavour hanno specificato che l’invito della Pa finanziaria assolve al compito di assicurare un dialogo preventivo tra Fisco e contribuente con una funzione deflattiva del successivo contenzioso, per cui la mancata risposta è espressamente sanzionata con la preclusione (in sede amministrativa e processuale) dell’allegazione dei dati e dell’esibizione dei documenti non forniti in fase procedimentale.
Tale inutilizzabilità è automatica, non necessita di eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio: essa non opera solo in presenza della deroga di cui all’articolo 32, comma 5, del Dpr 600/73.
Detta disposizione normativa comporta che, a seguito della dichiarazione del contribuente all’atto introduttivo del giudizio, competa all’autorità giudiziaria anche in assenza di eccezione della Pa resistente, il vaglio sulla regolarità dei documenti e sulle modalità di produzione nonché sulla congruità della dichiarazione “di non aver potuto adempiere alla richiesta degli uffici per causa a lui non imputabile”.
Nel caso concreto, invece, dal contenuto dei tre ricorsi introduttivi (riprodotti, in ossequio al principio di autosufficienza, nel ricorso di adizione del giudice di legittimità) risulta il mancato adempimento del descritto obbligo formale gravante sul contribuente, in quanto in nessuno di essi vi è l’avvenuta formulazione di una esplicita o implicita “dichiarazione della impossibilità di adempiere alla richiesta dell’ufficio per causa a lui non imputabile”.

Per le ragioni esposte, la suprema Corte di cassazione ha accolto il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria.