La Cgt Piacenza (sentenza 93/2/2024) sanziona le condotte in malafede anche nel processo tributario, quando, ad esempio, si sostiene una tesi difensiva basata su affermazioni non veritiere.
I giudici tributari valutano pertanto l’applicabilità delle disposizioni contenute nei commi 3 e 4 dell’articolo 96 del Codice di procedura civile.
Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana del 28 ottobre 1940, n. 253
Codice di procedura civile
Approvato con R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443
LIBRO PRIMO. Disposizioni generali - TITOLO TERZO. Delle parti e dei difensori - CAPO QUARTO. Delle responsabilità delle parti per le spese e per i danni processuali
Articolo 96
Responsabilità aggravata
Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.
Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata, condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.
In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata. (1) (2)
Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000. (3
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Con la lite temeraria scatta la condanna alle spese
La Cgt Piacenza sanziona le condotte in malafede anche nel processo tributario, quando, ad esempio, si sostiene una tesi difensiva basata su affermazioni non veritiere
Le condotte tenute dal contribuente nel corso del processo tributario che si collochino al di fuori dei canoni della normale prudenza possono determinare una condanna per lite temeraria. Lo afferma la sentenza 93/2/2024 della Cgt Piacenza (presidente relatore Morlini).
La vicenda
Il caso esaminato trae origine da una richiesta di annullamento di una intimazione di pagamento emessa da parte dell’amministrazione finanziaria presentata da parte di un contribuente. L’atto impositivo gli era stato notificato sulla base di una pronuncia della stessa Corte di giustizia tributaria che aveva rigettato la richiesta di annullamento di una cartella di pagamento. Deduceva il ricorrente nella propria tesi difensiva che la precedente sentenza di rigetto era stata fatto oggetto di una istanza di revocazione, tanto da discenderne l’obbligatoria sospensione del giudizio attuale sino all’esito del gravame.
La decisione
Constatata la pretestuosità del ricorso fondato sull’asserita presentazione di un’istanza di revocazione di una sentenza in realtà mai richiesta al magistrato, i giudici della Cgt rigettavano il ricorso pronunciandosi, inoltre, sulla questione delle spese di lite. La condotta processuale del contribuente aveva, infatti, ripercussioni anche sulla ripartizione tra le parti dei costi nel corso del processo tributario.
La condanna alle spese
I giudici tributari valutano pertanto l’applicabilità delle disposizioni contenute nei commi 3 e 4 dell’articolo 96 del Codice di procedura civile. Cominciamo dalla prima di esse che, ad avviso dei giudici della Cgt Piacenza, potrà trovare applicazione anche al processo tributario. Si tratta di una norma che prevede, in sede di regolamentazione della ripartizione delle spese, il potere per il giudice di condannare la parte soccombente al pagamento di una somma di denaro. Tale somma potrà essere determinata anche in via equitativa. Si tratta di una disposizione prevista per sanzionare le condotte processuali caratterizzate da malafede o comunque poste in essere al di fuori dei normali canoni di prudenza.
A soluzione antitetica giungono invece i giudici tributari sull’applicabilità al processo tributario della regola contenuta nel comma 4 dell’articolo 96 del Codice di procedura civile. La disposizione prevede un’ulteriore facoltà per il giudice che si trova a dovere regolare l’aspetto della ripartizione delle spese processuali. Il comma 4 dell’articolo 96 stabilisce infatti per il giudice la facoltà di pronunciare la condanna della parte soccombente di una somma di denaro non inferiore a 500 euro e non superiore a 5mila euro a favore della Cassa delle ammende.