Newsletter n. 14 del 30 Maggio 2020
1.4. D.L. n. 34/2020 - Le disposizioni concernenti i procedimenti amministrativi
Dopo le misure adottate dal precedente decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni in legge 24 aprile 2020, n. 27, che aveva adottato misure “conservative”, sotto l’imperio dell’emergenza quali, ad esempio, la sospensione dei procedimenti amministrativi e la proroga della validità di certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi in scadenza, il decreto legge 17 marzo 2020, n. 34 (c.d. “Decreto-legge Rilancio”), ha dettato delle disposizioni concernete i procedimenti amministrativi e, più in generale, l’attività dell’amministrazione in vi sta della ripresa e dell’auspicato ritorno alla normalità.
La normativa emergenziale ha introdotto una generale sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi sino al 15 maggio 2020. In particolare l’art. 103 del D.L. n. 18/2020, convertito dalla L. n. 27/2020, ha previsto al comma 1 che “ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d'ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020”.
Successivamente, l’art. 37 del D.L. n. 23 del 8 aprile 2020 ha successivamente prorogato sino al 15 maggio 2020 la sospensione di tutti i termini dei suddetti procedimenti amministrativi.
Di conseguenza tutti i termini che risultavano pendenti al 23 febbraio o il cui decorso è iniziato successivamente hanno ripreso a decorrere dal 16 maggio 2020. Si tratta, infatti, di una sospensione dei termini, non di una interruzione, con l’effetto pratico che è aperta una parentesi temporale (per il periodo tra il 23 febbraio ed il 15 maggio 2020) che non annulla la frazione del termine già trascorsa, ma il tempo trascorso prima si somma al periodo successivo alla sospensione, che riprende a decorrere dal 16 maggio 2020.
Sotto il profilo della sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi il D.L. n. 34/2020, in quanto posto nell’ottica positiva del rilancio, ha inciso pochissimo. In particolare, l’articolo 81, comma 2, ha previsto la sospensione sino al 31 luglio 2020 (data di fine stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020) dei termini di accertamento e notifica delle sanzioni di cui agli artt. 7 e 11 del D.Lgs. 6 settembre 1989, n. 322, ovverosia di quelle sanzioni inerenti all’inadempimento degli obblighi che hanno tutte le amministrazioni, enti e organismi pubblici e anche alcuni soggetti privati di fornire tutti i dati che vengano loro richiesti per le rilevazioni previste dal p rogramma statistico nazionale.
Un discorso analogo si può fare per quanto riguarda la proroga della validità di certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi in scadenza e sospensione dei termini. L’art. 103, comma 2, del D.L. n. 18/2020, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 27/2020, ha inciso sulla validità degli ampliativi in scadenza, che avrebbero comportato la necessità del rinnovo durante il periodo di emergenza.
In piena situazione emergenziale è stato necessario ovviare alle immaginabili difficoltà, se non l’impossibilità, di ottenere i rinnovi. L’articolo in questione ha previsto che tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati (compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori ex art. 15 d.P.R. n. 380/2001), in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, e cioè fino al 29 ottobre 2020.
La proroga della validità si applica anche alle segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), alle segnalazioni certificate di agibilità, nonché alle autorizzazioni paesaggistiche e alle autorizzazioni ambientali comunque denominate.
Anche su questo aspetto il nuovo decreto legge è sostanzialmente intervenuto in modo minimale.
L’articolo 81, comma 1, del D.L. n. 34/2020 ha introdotto per il documento unico di regolarità contributiva (DURC) una parziale deroga al regime di proroga degli attestati per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, disponendo che il DURC in scadenza tra il 31 gennaio 2020 ed il 15 aprile 2020 conserva validità (solo) sino al 15 giugno 2020.
Il D.L. n. 34/2020 nell’ottica di far ripartire il paese ha dettato anche delle previsioni in ordine alla liberalizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi in relazione all’emergenza Covid-19.
Tali previsioni sono in linea di massima temporanee e hanno un orizzonte temporale limitato sino alla fine del 2020.
A ciò si accompagnano una serie di disposizioni non a carattere transitorio, ma comunque collegate a tali finalità, quali quelle inerenti al controllo e all’inasprimento delle sanzioni per le false dichiarazioni dei privati per ottenere benefici.
In questa ottica ha operato l’articolo 264 del decreto legge, che peraltro indica, al comma 4 ,che le disposizioni in questione attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione e, come tali, prevalgono su ogni diversa disciplina regionale, che pertanto non potrà derogarvi.
Il comma 1 del citato articolo 264 dispone - almeno nelle intenzioni - una semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi, prevedendo una serie di misure valide dalla data di entrata in vigore del decreto legge (19 maggio 2020) e fino al 31 dicembre 2020.
In particolare, ha contemplato una serie di previsioni volte a disciplinare i procedimenti e i provvedimenti amministrativi adottati in relazione alla situazione di emergenza Covid-19.
Il comma 1, dell’articolo 264, ha introdotto, alla lettera a), una misura di semplificazione che amplia la possibilità da parte dei privati di presentare dichiarazioni sostitutive, in tutti i procedimenti che hanno ad oggetto benefici economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e sospensioni, da parte di pubbliche amministrazioni in relazione all’emergenza Covid-19.
Nello specifico, le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e le dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà (rispettivamente ex artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento, anche in deroga ai limiti previsti dagli stessi o dalla normativa di settore, fatto comunque salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159).
Il successivo comma 2 dello stesso articolo 264 modifica in modo permanente il regime dei controlli e innalza le sanzioni nel caso di dichiarazioni mendaci da parte dei privati nelle cosiddette autocertificazioni.
La modifica di tale regime è idealmente collegata alla semplificazione delle procedure che arrecano benefici ai privati sulla base delle loro dichiarazioni prevista nel comma 1 dello stesso articolo.
Al riguardo è stato sostituito il comma 1 dell’art. 71 del D.P.R. n. 445 del 2000, relativo ai controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 dello stesso D.P.R., prevedendo che “Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione in misura proporzionale al rischio e all'entità del beneficio, e nei casi di ragionevole dubbio, sulla veridicità delle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47, anche successivamente all'erogazione dei benefici, comunque denominati, per i quali sono rese le dichiarazioni”, così rendendo più stringente la disciplina di tali controlli, anche successivi all’erogazione del beneficio al privato.
Sono state inasprite le conseguenze della mendacità di tali dichiarazione con l’introduzione del comma 1-bis all’art. 75 del citato D.P.R. n. 445 del 2000 prevedendo che - oltre alla conseguenza già prevista nel comma 1 dello stesso articolo della decadenza dei benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera - la dichiarazione mendace comporti la revoca degli eventuali benefici già erogati nonché il divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di 2 anni decorrenti da quando l’amministrazione ha adottato l’atto di decadenza.
Restano comunque fermi gli interventi, anche economici, in favore dei minori e per le situazioni familiari e sociali di particolare disagio.
Al tempo stesso, con la modifica del comma 1 dell’art. 76 dello stesso D.P.R. n. 445/2000 sono state inasprite anche le conseguenze penali del mendacio con la previsione che la sanzione ordinariamente prevista dal codice penale per le dichiarazioni mendaci è aumentata da un terzo alla metà.
Lo stesso comma 2 dell’art. 264 prevede, inoltre, la modifica dell’art. 50 (Disponibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni) del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (CAD), prevedendo che le pubbliche amministrazioni certificanti, detentrici dei dati, sono tenute ad assicurare la fruizione da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici, attraverso la predisposizione di accordi quadro.
Al tempo stesso viene disposto che nell’ambito delle verifiche, delle ispezioni e dei controlli comunque denominati sulle attività dei privati, la pubblica amministrazione non potrà e non dovrà più richiedere la produzione di informazioni, atti o documenti in possesso della stessa o di altra pubblica amministrazione.
A rafforzare la posizione del privato in tali ipotesi viene introdotto il principio secondo cui è nulla ogni sanzione disposta nei confronti dei privati per omessa esibizione di documenti già in possesso dell’amministrazione procedente o di altra amministrazione.
Un passo indietro e torniamo al comma 1 dell’art. 264 del D.L. n. 34/2020 per affrontare il problema dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio e di revoca in relazione ai provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione in relazione all'emergenza Covid-19
Le lettere b) e c), del comma 1, dell’art. 264 del decreto legge introducono delle limitazioni al potere dell’amministrazione di agire in autotutela per i provvedimenti adottati in relazione all’emergenza Covid-19, sia in riferimento all’annullamento d’ufficio, che alla revoca.
Nello specifico la lettera b) prevede che l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti adottati in relazione all'emergenza Covid-19 possa essere disposto entro il termine di tre mesi, in deroga al regime ordinario dell’art. 21-nonies, comma, 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che prevede un termine massimo di diciotto mesi dal momento dell'adozione del provvedimento espresso ovvero dalla formazione del silenzio assenso.
La stessa disposizione prevede, sulla falsariga di quanto disposto in via ordinaria dal comma 2-bis dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, che resta salva l’annullabilità d’ufficio anche dopo il termine di tre mesi qualora i provvedimenti amministrativi siano stati adottati sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali.
La lettera c), limita anche l’adozione di provvedimenti di autotutela nel caso di SCIA. In particolare, la norma prevede che qualora un’attività relativa all’emergenza Covid 19 sia iniziata sulla base di una SCIA, ex art. 19 della L. n. 241/1990, una volta che sia scaduto il termine di sessanta giorni per agire in via inibitoria, ai sensi del comma 3 dello stesso art. 19, l’amministrazione può agire con i poteri di annullamento di ufficio, ex comma 4, dello stesso art. 19, solo entro tre mesi.
L’esercizio successivo da parte dell’amministrazione del potere di autotutela si palesa evidentemente illegittimo.
La lettera c) sospende, nel periodo preso in considerazione dalle norme emergenziali, e salvo che per eccezionali ragioni, la possibilità per l’amministrazione di revocare in via di autotutela il provvedimento, con riguardo ai procedimenti previsti dalla lettera a).
Da notare che attualmente non vi sono termini per l’esercizio di questo potere.
La successiva lettera d), limita, per gli stessi provvedimenti relativi adottati in relazione all’emergenza Covid-19, la possibilità di revoca prevista dall’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990, alla sola ipotesi di “eccezionali ragioni di interesse pubblico sopravvenute”, mentre la revoca è normalmente prevista per “sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”.
Non solo, quindi, la revoca è limitata esclusivamente all’ipotesi di sopravvenute “ragioni di interesse pubblico”, ma si deve anche trattare di ragioni “eccezionali”.
La lettera e), contempla esplicitamente che, dopo la formazione del silenzio endoprocedimentale tra amministrazioni, è necessario che venga adottato un provvedimento conclusivo espresso.
Nella prassi, infatti, accade che la formazione del silenzio non definisca in via di fatto il procedimento ma si attenda ugualmente l’assunzione di un atto da parte dell’amministrazione coinvolta.
La disposizione specifica, infatti, che nell’ipotesi di cui all’art. 17-bis, comma 2, ovvero di cui all’ art. 14-bis, commi 4 e 5 e 14 ter, comma 7, della L. n. 241 del 1990, “il responsabile del procedimento è tenuto ad adottare il provvedimento conclusivo entro 30 giorni dal formarsi del silenzio assenso”.
La lettera f), “liberalizza” gli interventi, anche edilizi, necessari ad assicurare l’ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all’emergenza sanitaria Covid-19. Questi ultimi sono comunque ammessi, salvo il rispetto delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di tutela dal rischio idrogeologico e di tutela dei beni culturali e del paesaggio.
Questi interventi, consistenti in opere contingenti e temporanee - destinate ad essere rimosse con la fine dello stato di emergenza, se non rientrano nell’attività di edilizia libera (ex art. 6 D.P.R. n. 380/2001) - possono essere realizzati previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale, corredata da atto di notorietà del soggetto interessato che attesta che si tratta di opere necessarie all’ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all’ emergenza sanitaria Covid-19.
L’eventuale mantenimento in essere delle opere realizzate anche dopo la fine del periodo emergenziale, è subordinato alla conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente.
Il suddetto mantenimento deve essere specificamente richiesto all’amministrazione, entro il 31 dicembre 2020, e assentito, previo accertamento della conformità, mediante provvedimento espresso da adottare entro sessanta giorni dalla domanda, con esonero dal contributo di costruzione eventualmente previsto.
Per l'acquisizione delle eventuali necessarie autorizzazioni e atti di assenso viene indetta una conferenza di servizi semplificata (ex artt. 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241).
Ove occorra l'autorizzazione paesaggistica viene rilasciata, ove ne sussistano i presupposti, ai sensi dell'articolo 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).