Spazio ridotto» per le collaborazioni a progetto
La riforma del mercato del lavoro ne fornisce una definizione più stringente e potenzia le presunzioni di subordinazione
L’intervento della riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012, in vigore dal prossimo 18 luglio) sulla disciplina del contratto a progetto mira a contrastare l’uso improprio e strumentale, anche per eludere obblighi contributivi e fiscali, di alcune tipologie contrattuali. Il rapporto di lavoro a progetto, introdotto nel nostro ordinamento dal DLgs. 276/2003 (la c.d. riforma Biagi), è, infatti, un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa che si caratterizza – oltre che per i requisiti del lavoro “parasubordinato” (assenza di subordinazione, personalità e continuità dell’apporto lavorativo, autonomia del collaboratore su modalità e tempi di esecuzione della prestazione in funzione del risultato, ancorché nel rispetto del coordinamento con la struttura del committente) – anche per la necessaria riconduzione, ad eccezione di alcune ipotesi tassative individuate, alla specifica disciplina dettata da tale DLgs.
L’obiettivo perseguito mediante l’introduzione di tale figura – ossia quello di porre fine all’abuso dei rapporti di collaborazione quale espediente per mascherare rapporti di lavoro subordinato ed evitare l’applicazione del relativo regime di tutela – non risulta, tuttavia, essere stato raggiunto. La riforma interviene, dunque, con alcune modifiche, volte a razionalizzare l’istituto e ad evitarne un uso distorto. Premesso che tali novità risultano applicabili, in base all’art. 1, comma 25, della L. 92/2012, ai soli contratti di collaborazione stipulati dopo la sua entrata in vigore, la riforma elimina dall’art. 61 del DLgs. 276/2003 qualsiasi riferimento al concetto di “programma di lavoro o fase di esso”, con la conseguenza che i suddetti contratti dovranno essere riconducibili esclusivamente ad uno o più progetti specifici.
Al riguardo, va ricordato che, mentre la giurisprudenza prevalente si era espressa per la non rilevanza di una distinzione tra le nozioni di “progetto” e “programma di lavoro”, il Ministero del Lavoro (circ. n. 1/2004) aveva qualificato il progetto come “un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale” e il programma come un’attività caratterizzata dalla “produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali”. In pratica, il “programma di lavoro”, potendo includere ogni tipo di risultato anche non autosufficiente, appariva più ampio e flessibile rispetto al “progetto”, tanto che si era ammessa la stipulazione di contratti con durata non determinata, ma meramente “determinabile” in funzione della persistenza dell’interesse del committente.
La L. 92/2012, recependo i principi emersi dall’elaborazione giurisprudenziale e dalla prassi amministrativa, introduce, poi, una definizione più stringente del “progetto” – spesso mancante o troppo generico – stabilendo, da un lato, che esso debba essere specifico, funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale e descritto dettagliatamente nel contratto di lavoro, con l’individuazione anche del risultato finale che si intende conseguire; dall’altro, che esso non possa consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, né comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi (che potranno essere individuati dai contratti collettivi).
Sul piano sanzionatorio, l’obiettivo di contrastare un uso non corretto del contratto in questione viene perseguito con il potenziamento delle presunzioni di subordinazione. In primo luogo, s’introduce una nuova presunzione “relativa” – suscettibile, cioè, di essere superata mediante prova contraria – circa il carattere subordinato, sin dalla costituzione, del rapporto di lavoro nel caso in cui l’attività del collaboratore “sia svolta con modalità analoghe” a quella dei dipendenti del committente. Ciò a meno che il committente riesca a fornire la prova contraria del carattere autonomo della prestazione o, comunque, che si tratti di prestazioni di elevata professionalità (che potranno essere individuate dai contratti collettivi).
In secondo luogo, particolarmente rilevante è la norma d’interpretazione autentica dell’art. 69, comma 1, del DLgs. 276/2003, recante una presunzione di subordinazione per i rapporti instaurati senza uno specifico progetto. Sulla natura di tale presunzione si sono delineati orientamenti contrapposti: secondo una parte della giurisprudenza e la circ. Min. Lavoro n. 1/2004, si tratterebbe di una presunzione semplice, suscettibile di prova contraria da parte del committente; altra parte della giurisprudenza si è, invece, espressa a favore della configurabilità di una presunzione assoluta, sostenendo che, nelle ipotesi in esame, si verifichi la conversione automatica in rapporto di lavoro subordinato, senza che il committente possa provare l’autonomia della prestazione (cfr. Trib. Milano 8 gennaio 2007, Trib. Roma 29 maggio 2008). Ora il contrasto viene risolto: la riforma stabilisce, una volta per tutte, che la mancata individuazione di uno specifico progetto – costituendo quest’ultimo un elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa – determina ipso facto la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.