ITALIA OGGI – 3 ottobre 2025
Il Fisco non può chiedere documenti già presenti nelle proprie banche dati
di Andrea Bongi
Sintesi
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 137/2025, ha chiarito i limiti del potere dell’Agenzia delle Entrate di richiedere documenti ai contribuenti.
Secondo la Consulta, l’amministrazione non può pretendere informazioni o documenti che già possiede nelle proprie banche dati, come le fatture elettroniche che gestisce direttamente, né può domandare atti facilmente reperibili tramite i propri sistemi informatici.
La decisione nasce da una questione sollevata dalla Corte di giustizia tributaria di Roma, che aveva contestato l’art. 32 del DPR 600/1973: questa norma prevede la preclusione ad usare in giudizio documenti non consegnati all’ufficio in fase di accertamento, ma secondo i giudici poteva limitare in modo eccessivo il diritto di difesa del contribuente garantito dalla Costituzione e dalla CEDU.
La Corte costituzionale, pur non dichiarando la norma incostituzionale, ne ha dato una lettura restrittiva e più favorevole al contribuente:
- la preclusione probatoria non vale se i documenti erano già nella disponibilità dell’amministrazione o di altre PA;
- non può operare quando il contribuente non ha potuto produrre i documenti per cause non imputabili (ad es. comportamenti di terzi, errori del consulente, forza maggiore);
- riguarda solo gli elementi che avrebbero avuto un contenuto univocamente favorevole al contribuente (cioè utili a bloccare o ridurre l’accertamento), ma non quelli che presentano anche aspetti potenzialmente sfavorevoli.
Il principio di fondo è che, nell’era digitale, l’amministrazione deve utilizzare le proprie banche dati e non duplicare richieste di informazioni già disponibili, rendendo l’art. 32 DPR 600/73 compatibile con i diritti di difesa e con un processo equo.
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