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Da restituire i compensi al manager non deliberati dall’assemblea
La Corte d’Appello di Milano, uniformandosi alle SS.UU., sottolinea l’insufficienza della mera indicazione in bilancio della relativa posta
L’approvazione del bilancio contenente anche la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera di determinazione del compenso richiesta, in caso di omessa previsione statutaria, dall’art. 2389 comma 1 c.c.; e se è consentito che, unitamente all’approvazione del bilancio, l’assemblea, convocata per l’esame e approvazione del solo bilancio, possa deliberare anche la determinazione del compenso degli amministratori, è però necessario che sia totalitaria e discuta e approvi espressamente la proposta specifica di determinazione del compenso degli amministratori.
A precisarlo è la Corte d’Appello di Milano, nella sentenza 13 settembre 2012 n. 3019, allineandosi ai principi sanciti in materia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 29 agosto 2008 n. 21933.
Nel caso di specie, il curatore del fallimento di una srl agiva nei confronti del precedente amministratore per ottenere la restituzione dei compensi annuali percepiti in assenza della necessaria deliberazione assembleare.
Il Tribunale di Como, con sentenza del 16 novembre 2007 n. 1378, respingeva la richiesta, osservando come il compenso ricevuto dall’amministratore risultasse sempre indicato nella nota integrativa del bilancio di ogni esercizio, poi approvato dall’assemblea, cosicché, con il deposito dello stesso, i soci avevano sempre potuto conoscere quale fosse il compenso dell’amministratore. Pertanto, l’indicazione nel bilancio della spesa in questione, non essendo l’effetto di un atto di gestione (cfr. Cass. 9 giugno 2004 n. 10895), ma di un’obbligazione diretta della società verso l’amministratore, comportava, con l’approvazione del bilancio, l’accertamento e il riconoscimento della sua esistenza, con conseguente ratifica dell’operato dell’amministratore (cfr. Cass. 20 dicembre 2005 n. 28243 e Cass. 27 febbraio 2001 n. 2832). Di conseguenza – concludeva il giudice di primo grado – doveva escludersi la natura indebita dei prelievi operati al riguardo dall’amministratore e, di riflesso, il fondamento dell’azione di responsabilità, ex art. 2394 c.c., che richiede pur sempre la realizzazione da parte dell’amministratore di un atto contrario ai propri doveri, come l’appropriarsi di somme in assenza di autorizzazione assembleare.
Contro tale profilo della decisione di merito il fallimento eccepiva, dinanzi alla competente Corte d’Appello di Milano, gli insegnamenti che, nel frattempo, le Sezioni Unite della Suprema Corte avevano impartito in materia per il tramite della ricordata sentenza n. 21933/2008. In essa, infatti, è stabilito che, ai fini della determinazione dei compensi degli amministratori è necessaria un’esplicita delibera assembleare. Tale delibera non può considerarsi implicita in quella finalizzata all’approvazione del bilancio d’esercizio. Dall’art. 2364 c.c., infatti, emerge chiaramente che il Legislatore considera le deliberazioni di approvazione del bilancio (di cui al n. 1) e quelle di determinazione dei compensi (di cui al n. 3) come aventi oggetti e contenuti diversi e distinti. Ammettere che nella delibera di approvazione del bilancio sia implicita quella di determinazione dei compensi renderebbe la norma inutiliter data. Ne consegue che gli atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori sono nulli per violazione di norma imperativa (l’art. 2389 comma 1 c.c.); nullità che, ex art. 1423 c.c., non è suscettibile di convalida in mancanza di espressa disposizione in tal senso (cfr. l’art. 2379 c.c.). Anche a voler ammettere una ratifica tacita della autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori, sarebbe necessaria la prova che l’assemblea di approvazione del bilancio: sia a conoscenza del vizio (autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori); abbia manifestato la volontà di fare proprio l’atto in questione. Si osserva, peraltro, che l’ammissibilità di delibere tacite (in cui la volontà dell’assemblea si manifesta per facta concludentia) e di delibere implicite (in cui il contenuto presuppone necessariamente quello di distinte deliberazioni) si pone in contrasto con il principio generale di cui all’art. 2366 c.c., che afferma la necessità della previa indicazione nell’ordine del giorno degli argomenti sui quali deliberare.
L’assemblea convocata per la sola approvazione del bilancio, quindi, potrebbe anche legittimamente deliberare in ordine alla determinazione del compenso degli amministratori, ma occorre che la stessa sia “totalitaria” e abbia espressamente discusso e approvato una proposta in ordine alla determinazione dei compensi degli amministratori.
Alla luce di tali precisazioni, la Corte d’Appello osserva come l’amministratore non abbia fornito né la prova che la determinazione del suo compenso risultasse all’ordine del giorno, né che le assemblee dei soci, che di volta in volta avevano approvato i bilanci, avessero, in composizione totalitaria, espressamente discusso del compenso da corrispondere all’amministratore. L’amministratore è allora condannato alla restituzione delle somme percepite (oltre agli interessi legali).