Sul datore di lavoro l'obbligo di verifica

Macchine marcate Ce e vizi occulti

Raffaele Guriniello

Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, e' tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformita' CE o l'affidamento riposto nella notorieta'à¿Â  e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilita'.

Continua a proporsi avanti alla Corte Suprema il problema attinente alle carenze antinfortunistiche di macchine pur marcate CE.

Ancora ultimamente Cass. 6 dicembre 2012, Ronchi, in ISL, 2013, 1, 43, affrontò un’ipotesi in cui l’amministratore unico di una s.p.a., quale datore di lavoro, fu condannato per un infortunio subito da un dipendente, per colpa consistita nell’aver “omesso di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate ed idonee ai fini della sicurezza e della salute, in particolare un carrello elevatore con sistema di ancoraggio e aggancio non conformato e privo dei necessari accorgimenti per assicurare la stabilità del cilindro ubicato sui bracci del carrello stesso per il trasporto”.

Nell’annullare con rinvio la sentenza di condanna, la Sez. IV prese atto che l’imputato “aveva commissionato ad apposita azienda specializzata un macchinario idoneo alle sue esigenze, l'aveva mantenuto e provato e mai nel biennio dall'acquisto (né successivamente) era successo alcunché”. Osservò che “i marchi di conformità limitano la loro efficacia ex art. 6 (e art. 36) D.Lgs. n. 626/1994, a rendere lecita la produzione, il commercio e la concessione in uso delle macchine che, caratterizzate dal marchio, risultano essere rispondenti al requisiti essenziali di sicurezza previsti nelle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, ma la dotazione di tali marchi non dà ingresso ad esonero dalle norme generali del codice penale come è specificamente chiarito anche dal testo del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 3, lettera b) e art. 37, poiché il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è comunque tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti”.

Rilevò, però, che “tale principio non può essere svincolato dalla contestuale verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, al cui fine occorre accertare, con valutazione ex ante, la prevedibilità dell'evento, giacché non può essere addebitato all'agente modello (homo ejusdem professionis et condicionis) di non avere previsto un evento che, in base alle conoscenze che aveva o che avrebbe dovuto avere, non poteva prevedere, finendosi, diversamente opinando, con il costruire una forma di responsabilità oggettiva”. Rammentò che “la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione -da parte del garante- di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso”.

Rilevò che, “se la commissione a terzi della costruzione del macchinario non esime da responsabilità il datore di lavoro committente che è tenuto a sopperire con accorgimenti di sicurezza che rendano il funzionamento del macchinario assolutamente sicuro per gli operai che vi lavorano, nel caso che uno o più dispositivi di sicurezza di una macchina si rivelino in concreto insufficienti, occorre pur sempre che l'imprenditore possa rendersi tempestivamente conto dell'insufficienza di quei dispositivi di sicurezza”. In proposito, notò che “la ditta dell’imputato era priva delle competenze produttive e progettuali in ordine al carrello in questione sicché aveva dovuto rivolgersi a una ditta specializzata che a tanto aveva provveduto”, e che, “in tale peculiare ipotesi, quell'affidamento riposto dall'utilizzatore del macchinario da altri progettato e costruito in conformità delle esigenze operative dello stesso committente, a seguito di apposito appalto all'uopo conferito, sul rispetto delle prescrizioni antinfortunistiche da parte del costruttore, corroborato dalla sperimentata pluriennale utilizzazione del macchinario, non può essere pretermesso in radice, assumendo una valenza particolarmente incisiva ai fini dell'apprezzamento della sussistenza dell'elemento psicologico del reato”.

Considerò non “priva di contraddittorietà né risolutiva l'asserzione contenuta in sentenza, secondo la quale la prevedibilità dell'evento discendeva dalla tipologia dell'operazione effettuata, definita ‘aziendale prevista’ e ‘che poteva evitarsi con appositi accorgimenti ipotizzati dalla ASL e correttamente poi posti in essere da parte aziendale’”. Insegnò che “l'obbligo del datore di lavoro di controllare che gli strumenti della lavorazione siano adeguati alle norme antinfortunistiche provvedendo, se necessario, ad applicare i dispositivi di sicurezza mancanti o ad integrare quelli già esistenti se questi si presentano in maniera evidente insufficienti, non comporta la verifica della corrispondenza dei detti strumenti alle garanzie fornite dalla casa costruttrice, potendo l'imprenditore fare affidamento, purché non colpevole, nei requisiti di resistenza e di idoneità indicati dalla casa costruttrice medesima che nel caso di specie aveva progettato e prodotto il carrello su espressa richiesta e conformemente alle esigenze del committente”.

Ne ricavò che “non può nemmeno escludersi la possibilità che, nonostante l'ampia serietà commerciale e la peculiare specializzazione della ditta costruttrice, il macchinario presentasse un vizio occulto (cioè quello che all'atto della accettazione da parte del committente non era ancora sorto o non era ancora percepibile), manifestatosi solo successivamente, a seguito dell'usura del macchinario”. Segnalò che “il carrello In questione era stato mantenuto e provato e mai nel biennio dall'acquisto era successo alcunché, tanto più che l'avvicinamento del lavoratore infortunato al cilindro superiore per predisporre la manovra di avvolgimento in bobina del prodotto finito, era ‘necessario’, cioè costituiva una manovra ‘aziendale prevista’ come tale già effettuata in precedenza”.

E concluse che “era quindi indispensabile, ai fini dell'accertamento della ricorrenza dell'elemento psicologico, colposo, del reato, dimostrare e spiegare con adeguate argomentazioni la prevedibilità ex ante della fuoriuscita dall'incavo di una delle estremità (del cilindro)”, ma che “sul punto la sentenza impugnata tace del tutto”. (In argomento v. Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza [aggiornato con il D.Lgs. 106/2009], Milano, 2009, 543 s., cui adde Cass. 16 febbraio 2012, Gortani, in ISL, 2012, 5, 299; Cass. 10 giugno 2011, Martarelli, ibid., 2011, 8-9, 675; Cass. 18 gennaio 2011, Nemfardi, ibid., 2011, 4, 234; Cass. 23 febbraio 2010, Cova, ibid., 2010, 4, 243, e Cass. 22 settembre 2009, Inversini, ibid., 2009, 12, 692. Quanto alla responsabilità del produttore o venditore di macchine non conformi v. da ultimo Cass. 7 dicembre 2012, Mattioli, ibid., 2013, 2, 105, alla cui nota si rinvia per ulteriori riferimenti).

Questa volta, un datore di lavoro fu condannato per un infortunio subito da un dipendente intento ad operare su un macchinario non idoneo ai fini della sicurezza.

A propria discolpa, l’imputato rimprovera ai magistrati di merito d’aver “affermato la penale responsabilità del datore di lavoro per le lesioni patite nell'utilizzo di un macchinario conforme alla normativa CE anche nell'ipotesi di vizio occulto”. E sostiene che la previsione normativa per cui “il datore di lavoro-utilizzatore di macchinari è tenuto a mettere a disposizione del dipendente macchine idonee ai fini della sicurezza e della salute presuppone l'evidenza e la facile accertabilità del difetto”, che “l'apparecchiatura era stata sempre regolarmente controllata dal datore di lavoro e se n'era fatto un utilizzo ultradecennale senza che si fossero verificati episodi del tipo di quello occorso all’infortunato”, e “ciò dimostrerebbe la natura occulta del difetto rinvenuto sull'apparecchiatura”, e infine che “non si può ritenere diversamente sulla scorta della successiva predisposizione di dispositivi prevenzionistici poiché ciò è stato dovuto alla volontà di fare fronte all'obbligo di garanzia una volta rivelatosi il difetto occulto”.

La Sez. IV non è d’accordo, e ne trae spunto per fornire utili indicazioni in merito ai vizi occulti delle macchine. Osserva che “l'esistenza di un vizio occulto non può certamente desumersi dalla circostanza per la quale il pregresso utilizzo del macchinario in questione non ha visto il verificarsi di analoghi infortuni”, in quanto “il dato dovrebbe essere comprovato dalla acquisizione di adeguate informazioni in ordine agli infortuni verificatisi sul macchinario sin dal suo primo utilizzo, alle modifiche apportate allo stesso, alla identità del fatto eventuale verificatosi in precedenza rispetto a quello oggetto dell'attuale giudizio”, e in quanto “in ogni caso, il fattore statistico non varrebbe a superare il risultato cui conduce il canone della conoscibilità del vizio secondo la diligenza esigibile dal datore di lavoro, la quale non trova motivo di attenuazione per il fatto di essere il macchinario attestato dal costruttore come conforme alla normativa CE”.

Ribadisce che “il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità ‘CE’ o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità”. Con riguardo al caso di specie, nota che “la pericolosità della macchina anche nella fase preliminare in cui l'incidente si verificò era evidente, essendo la guida e i vari pezzi in movimento sprovvisti di protezioni antinfortunistiche”, e ne trae che una tale notazione “ha anche il valore di esplicitazione delle misure che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare per porre la macchina in sicurezza”, “misure del tutto disponibili al datore di lavoro”, come “dimostrato dal fatto che l’imputato le adottò in sede di ottemperanza alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza”.

A cura della Redazione

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(Sentenza Cassazione penale 11/03/2013, n. 11445)
23/04/2013