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L’oggetto troppo ampio e generico
inficia la regolarità della fattura
inficia la regolarità della fattura
L’indistinto accorpamento di svariate prestazioni, molto differenti sotto il profilo dei contenuti, fa venir meno gli obiettivi di trasparenza e conoscibilità fissati dalla normativa Iva
Le fatture devono identificare in maniera esatta e precisa l’oggetto della prestazione, specificandone natura, qualità e quantità, in modo da consentire l’espletamento delle attività di verifica e controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Se ne deduce, pertanto, che l’emissione di documenti dall’oggetto troppo ampio e generico, con l’accorpamento in un’unica descrizione di attività molto diverse, legittima l’Agenzia delle Entrate a irrogare le sanzioni per violazione degli obblighi di tenuta della contabilità, essendo venute meno le finalità conoscitive che la norma intende assicurare.
Così hanno stabilito i giudici della Corte di cassazione con la sentenza n. 21980 del 30 ottobre 2015.
Il fatto
La vicenda trae origine dall’emissione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di atti di contestazione nei confronti di una società per violazione degli obblighi relativi alla tenuta della contabilità, avendo questa emesso fatture con la generica indicazione dell’oggetto della prestazione.
La società contestata ha proposto ricorso, accolto sia in primo che in secondo grado.
In particolare, i giudici dell’appello hanno respinto i motivi di gravame proposti dall’Amministrazione finanziaria ritenendo che, seppur le prestazioni effettuate fossero state indicate in fattura in maniera estremamente generica e ampia, i documenti dovevano essere ritenuti regolari perché, trattandosi di collaborazioni correnti in molti anni, la descrizione poteva anche ricomprendere quelle effettivamente prestate negli anni oggetto di contestazione.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Ctr, lamentando erronea applicazione dell’articolo 21, comma 2, del Dpr 633/1972.
La Corte di cassazione ha accolto il principale motivo di ricorso dell’Agenzia e ha cassato la sentenza impugnata, con condanna alle spese a carico della società.
La decisione
L’oggetto del contendere riguarda la corretta interpretazione dell’articolo 21, comma 2, lettera b) – oggi lettera g) – del Dpr 633/1972, secondo cui, tra l’altro, le fatture emesse devono indicare la “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione”.
Nel caso di specie, la società aveva emesso una serie di fatture nei confronti di un cliente, indicando nell’oggetto “servizi professionali, magazzinaggio, trasporto, tenuta contabile, marketing e promozione vendite”.
A parere degli organi verificatori, data l’estrema genericità delle indicazioni che vi figuravano, detti documenti dovevano essere considerati irregolari, perché emessi in violazione dell’articolo 21 citato e, da qui, l’irrogazione delle sanzioni per irregolare compilazione delle fatture previste dall’articolo 9 del Dlgs 471/1997.
La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso, avendo errato in diritto i giudici della Ctr quando, una volta riscontrata la genericità e l’ampiezza del contenuto delle fatture, non hanno riconosciuto la violazione delle disposizioni di legge e, invece, hanno dichiarato illegittime le sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate.
A parere della Corte suprema, le prescrizioni previste dall’articolo 21 della legge sull’Iva in merito alla esatta e precisa individuazione dell’oggetto delle prestazioni “rispondono ad oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità essendo funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria”.
Diretta conseguenza di tale principio è che un’indicazione generica delle operazioni fatturate comporta l’irregolarità dei relativi documenti contabili perché non rispondenti alle finalità conoscitive che la norma intende assicurare.
Appare evidente come, nel caso di specie, la società sia incorsa nella violazione del richiamato articolo 21, avendo indistintamente accorpato, in un’unica descrizione, attività molto differenti sotto il profilo dei contenuti, “spaziando da attività materiali (trasporto e magazzinaggio), ad attività d’ordine (tenuta contabilità), ad attività a più alto contenuto di professionalità (promozione vendite) e ad attività del tutto generiche (servizi professionali e marketing)”.
Se ne deduce, pertanto, che l’emissione di documenti dall’oggetto troppo ampio e generico, con l’accorpamento in un’unica descrizione di attività molto diverse, legittima l’Agenzia delle Entrate a irrogare le sanzioni per violazione degli obblighi di tenuta della contabilità, essendo venute meno le finalità conoscitive che la norma intende assicurare.
Così hanno stabilito i giudici della Corte di cassazione con la sentenza n. 21980 del 30 ottobre 2015.
Il fatto
La vicenda trae origine dall’emissione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di atti di contestazione nei confronti di una società per violazione degli obblighi relativi alla tenuta della contabilità, avendo questa emesso fatture con la generica indicazione dell’oggetto della prestazione.
La società contestata ha proposto ricorso, accolto sia in primo che in secondo grado.
In particolare, i giudici dell’appello hanno respinto i motivi di gravame proposti dall’Amministrazione finanziaria ritenendo che, seppur le prestazioni effettuate fossero state indicate in fattura in maniera estremamente generica e ampia, i documenti dovevano essere ritenuti regolari perché, trattandosi di collaborazioni correnti in molti anni, la descrizione poteva anche ricomprendere quelle effettivamente prestate negli anni oggetto di contestazione.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Ctr, lamentando erronea applicazione dell’articolo 21, comma 2, del Dpr 633/1972.
La Corte di cassazione ha accolto il principale motivo di ricorso dell’Agenzia e ha cassato la sentenza impugnata, con condanna alle spese a carico della società.
La decisione
L’oggetto del contendere riguarda la corretta interpretazione dell’articolo 21, comma 2, lettera b) – oggi lettera g) – del Dpr 633/1972, secondo cui, tra l’altro, le fatture emesse devono indicare la “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione”.
Nel caso di specie, la società aveva emesso una serie di fatture nei confronti di un cliente, indicando nell’oggetto “servizi professionali, magazzinaggio, trasporto, tenuta contabile, marketing e promozione vendite”.
A parere degli organi verificatori, data l’estrema genericità delle indicazioni che vi figuravano, detti documenti dovevano essere considerati irregolari, perché emessi in violazione dell’articolo 21 citato e, da qui, l’irrogazione delle sanzioni per irregolare compilazione delle fatture previste dall’articolo 9 del Dlgs 471/1997.
La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso, avendo errato in diritto i giudici della Ctr quando, una volta riscontrata la genericità e l’ampiezza del contenuto delle fatture, non hanno riconosciuto la violazione delle disposizioni di legge e, invece, hanno dichiarato illegittime le sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate.
A parere della Corte suprema, le prescrizioni previste dall’articolo 21 della legge sull’Iva in merito alla esatta e precisa individuazione dell’oggetto delle prestazioni “rispondono ad oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità essendo funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria”.
Diretta conseguenza di tale principio è che un’indicazione generica delle operazioni fatturate comporta l’irregolarità dei relativi documenti contabili perché non rispondenti alle finalità conoscitive che la norma intende assicurare.
Appare evidente come, nel caso di specie, la società sia incorsa nella violazione del richiamato articolo 21, avendo indistintamente accorpato, in un’unica descrizione, attività molto differenti sotto il profilo dei contenuti, “spaziando da attività materiali (trasporto e magazzinaggio), ad attività d’ordine (tenuta contabilità), ad attività a più alto contenuto di professionalità (promozione vendite) e ad attività del tutto generiche (servizi professionali e marketing)”.
Emiliano Marvulli
pubblicato Mercoledì 18 Novembre 2015