Generiche indicazioni in fattura: dubbia la congruità del corrispettivo
La legge Iva prevede la specificazione di natura, qualità e quantità dei beni e servizi oggetto dell’operazione e altri dati necessari per determinare la base imponibile
La questione del contenuto della fattura ricevuta da un soggetto passivo Iva al fine di consentirgli la detrazione dell’imposta corrisposta all’altro soggetto passivo del tributo, che in quanto cedente i beni o prestatore dei servizi ha indicato nel relativo documento, attiene a due distinti profili, il primo afferente all’indicazione minima della fattura e il secondo alla congruità tra i servizi o i beni ricevuti e il corrispettivo (e conseguente Iva) versato.
In ordine a tale secondo profilo, la sentenza n. 12663/2012 della Corte di cassazione parte dal presupposto che la determinazione della base imponibile Iva e la verifica della congruità della spesa si pongono su piani distinti, “venendo in questione solo nel secondo caso la verifica di congruità del valore della prestazione e la prova del carattere <inerente> della spesa (e cioè della connessione strumentale del bene o servizio con la produzione - anche solo potenziale - di reddito)”.
Tale ultima indicazione della pronuncia della Corte regolatrice del diritto in rassegna evidenzia come il riferimento è a quella giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento ai fini delle imposte dirette espressa nelle decisioni - alcune citate da questa in nota - 13 febbraio 2006 n. 3106, 24 marzo 2006 n. 6650, 9 agosto 2006 n. 18013, 18 dicembre 2006 n. 27095, 16 maggio 2007 nn. 11204, 11205 e 11206, 5 ottobre 2007 n. 20858, 4 aprile 2008 n. 8744, 26 maggio 2008 nn. 13480 e 13481, 30 maggio 2008 n. 14504, 18 giugno 2008 n. 16423, 25 novembre 2008 nn. 28016, 28017 e 28018, 7 aprile 2009 n. 8416, 27 gennaio 2010 n. 1655, 2 aprile 2010 nn. 8072 e 8073, 30 dicembre 2010 n. 26480, 21 aprile 2011 nn. 9195 e 9196, 4 aprile 2012 n. 5374).
La tematica della congruità dei corrispettivi trova un’ulteriore complicanza nelle cessioni di beni e nelle prestazioni di servizi effettuati - come nel caso di specie - da società infragruppo, nei cui riguardi la decisione in rassegna cita il precedente espresso nella sentenza del Supremo collegio 21 dicembre 2009, n. 26851 proprio in tema di imposta sul valore aggiunto e, secondo la quale, l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio. La questione atteneva alle cosiddette spese di regia e, nella citata pronuncia, venne affermato che, qualora la società capofila di un gruppo di imprese, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, fornisca servizi e curi direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo ripartendone i costi fra le affiliate, occorre, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia detraibile ai sensi dell’articolo 19 del Dpr n.633/1972, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata.
Orbene, ad onta della specifica individuazione del riferimento al valore normale dei beni o delle prestazioni di servizi effettuata dal legislatore Iva, la sentenza in commento ribadisce - in ambito Iva - che negare all’ufficio finanziario il sindacato sul contenuto della fattura “paleserebbe evidente il pregiudizio per l’Erario conseguente alla possibilità di una indiscriminata deducibilità dal reddito imponibile di costi inerenti sovradimensionati in quanto non corrispondenti al valore di mercato della controprestazione”.
Il secondo corno della tematica attiene al mancato rispetto della disciplina sulla fatturazione regolata dall’articolo 21 del Dpr n. 633/1972, il cui secondo comma, per quanto in questa sede interessa, prevede l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione e dei corrispettivi e altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compreso il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono di cui all’articolo 15, n. 2. La questione riguarda il grado di specificità dell’indicazione dei beni ceduti o dei servizi prestati che non possono - di certo - essere rilevati in fattura in termini di generiche prestazioni di assistenza, come nel caso di specie “elaborazione CED, locazione o comodato di locali o fruizione delle strutture aziendali da parte dei dipendenti della società beneficiaria”.
A tal fine, vanamente, la società destinataria dei servizi indicati ha tentato di far rilevare - per relationem - a una lettera commerciale, il contenuto delle obbligazioni assunte e soddisfatte come corrispondenti a quelle indicate nella fattura ricevuta, atteso che il giudice di merito ha accertato che tale lettera evidenziava soltanto una mera proposta e non certo faceva emergere la conclusione del relativo negozio.
Infine occorre evidenziare, peraltro, come, con la pronuncia 21 maggio 2010, n. 12554 (conforme alla coeva sentenza n. 12555 e alla successiva pronuncia 30 novembre 2011, n. 25501), il Supremo collegio abbia ritenuto che, in tema di IVA, ai sensi degli articoli 19 e 21 del Dpr n.633/1972, nelle ipotesi di fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti (cessioni di beni e/o prestazioni di servizi), il cessionario e/o committente non può legittimamente esercitare il diritto alla detrazione del tributo versato in via di rivalsa al soggetto cedente e/o prestatore, risultato privo di effettiva capacità operativa, salvo che dimostri l’inerenza dell’acquisto all’attività d’impresa e la non conoscenza dello status del soggetto emittente le fatture.
Da ciò, l’effetto che, in tale contesto interpretativo, i giudici di legittimità hanno statuito che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’Amministrazione finanziaria assumono rilievo probatorio se trovano riscontro nelle risultanze dell’accesso dei verbalizzanti.
a cura di “Giurisprudenza delle Imposte” edita da Assonime
In ordine a tale secondo profilo, la sentenza n. 12663/2012 della Corte di cassazione parte dal presupposto che la determinazione della base imponibile Iva e la verifica della congruità della spesa si pongono su piani distinti, “venendo in questione solo nel secondo caso la verifica di congruità del valore della prestazione e la prova del carattere <inerente> della spesa (e cioè della connessione strumentale del bene o servizio con la produzione - anche solo potenziale - di reddito)”.
Tale ultima indicazione della pronuncia della Corte regolatrice del diritto in rassegna evidenzia come il riferimento è a quella giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento ai fini delle imposte dirette espressa nelle decisioni - alcune citate da questa in nota - 13 febbraio 2006 n. 3106, 24 marzo 2006 n. 6650, 9 agosto 2006 n. 18013, 18 dicembre 2006 n. 27095, 16 maggio 2007 nn. 11204, 11205 e 11206, 5 ottobre 2007 n. 20858, 4 aprile 2008 n. 8744, 26 maggio 2008 nn. 13480 e 13481, 30 maggio 2008 n. 14504, 18 giugno 2008 n. 16423, 25 novembre 2008 nn. 28016, 28017 e 28018, 7 aprile 2009 n. 8416, 27 gennaio 2010 n. 1655, 2 aprile 2010 nn. 8072 e 8073, 30 dicembre 2010 n. 26480, 21 aprile 2011 nn. 9195 e 9196, 4 aprile 2012 n. 5374).
La tematica della congruità dei corrispettivi trova un’ulteriore complicanza nelle cessioni di beni e nelle prestazioni di servizi effettuati - come nel caso di specie - da società infragruppo, nei cui riguardi la decisione in rassegna cita il precedente espresso nella sentenza del Supremo collegio 21 dicembre 2009, n. 26851 proprio in tema di imposta sul valore aggiunto e, secondo la quale, l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio. La questione atteneva alle cosiddette spese di regia e, nella citata pronuncia, venne affermato che, qualora la società capofila di un gruppo di imprese, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, fornisca servizi e curi direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo ripartendone i costi fra le affiliate, occorre, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia detraibile ai sensi dell’articolo 19 del Dpr n.633/1972, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata.
Orbene, ad onta della specifica individuazione del riferimento al valore normale dei beni o delle prestazioni di servizi effettuata dal legislatore Iva, la sentenza in commento ribadisce - in ambito Iva - che negare all’ufficio finanziario il sindacato sul contenuto della fattura “paleserebbe evidente il pregiudizio per l’Erario conseguente alla possibilità di una indiscriminata deducibilità dal reddito imponibile di costi inerenti sovradimensionati in quanto non corrispondenti al valore di mercato della controprestazione”.
Il secondo corno della tematica attiene al mancato rispetto della disciplina sulla fatturazione regolata dall’articolo 21 del Dpr n. 633/1972, il cui secondo comma, per quanto in questa sede interessa, prevede l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione e dei corrispettivi e altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compreso il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono di cui all’articolo 15, n. 2. La questione riguarda il grado di specificità dell’indicazione dei beni ceduti o dei servizi prestati che non possono - di certo - essere rilevati in fattura in termini di generiche prestazioni di assistenza, come nel caso di specie “elaborazione CED, locazione o comodato di locali o fruizione delle strutture aziendali da parte dei dipendenti della società beneficiaria”.
A tal fine, vanamente, la società destinataria dei servizi indicati ha tentato di far rilevare - per relationem - a una lettera commerciale, il contenuto delle obbligazioni assunte e soddisfatte come corrispondenti a quelle indicate nella fattura ricevuta, atteso che il giudice di merito ha accertato che tale lettera evidenziava soltanto una mera proposta e non certo faceva emergere la conclusione del relativo negozio.
Infine occorre evidenziare, peraltro, come, con la pronuncia 21 maggio 2010, n. 12554 (conforme alla coeva sentenza n. 12555 e alla successiva pronuncia 30 novembre 2011, n. 25501), il Supremo collegio abbia ritenuto che, in tema di IVA, ai sensi degli articoli 19 e 21 del Dpr n.633/1972, nelle ipotesi di fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti (cessioni di beni e/o prestazioni di servizi), il cessionario e/o committente non può legittimamente esercitare il diritto alla detrazione del tributo versato in via di rivalsa al soggetto cedente e/o prestatore, risultato privo di effettiva capacità operativa, salvo che dimostri l’inerenza dell’acquisto all’attività d’impresa e la non conoscenza dello status del soggetto emittente le fatture.
Da ciò, l’effetto che, in tale contesto interpretativo, i giudici di legittimità hanno statuito che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’Amministrazione finanziaria assumono rilievo probatorio se trovano riscontro nelle risultanze dell’accesso dei verbalizzanti.
a cura di “Giurisprudenza delle Imposte” edita da Assonime
pubblicato Lunedì 24 Settembre 2012