FONTE: http://www.caseinrete.org
Affrontiamo di seguito la differenza tra l’utilizzo di un termine perentorio o di un termine ordinatorio all’interno dei contratti.
Il termine perentorio viene così detto, se un dato atto o una data attività devono essere compiuti entro il lasso temporale di scadenza del termine stesso; se il termine non viene rispettato, l’atto o l’attività, pur se eventualmente compiuta, risulta inutile, nel senso che non viene considerata utile ai fini di certi effetti favorevoli, con conseguente applicazione di sanzioni e produzione di effetti sfavorevoli. Questo perchè il termine perentorio obbliga in termini assoluti il compimento di un’attività in quel determinato lasso di tempo al fine di fornire certezza all’attività stessa.
Il termine ordinatorio invece, viene così detto se alla sua inosservanza, non sono previste sanzioni o effetti sfavorevoli. La funzione di questo termine è semplicemente quella di ‘ordinare’ un’attività amministrativa, indirizzandola verso determinate procedure ed esiti; perciò, il non rispetto del termine non comporta il verificarsi di decadenze e l’applicazione di sanzioni.
All’interno della categoria dei termini ordinatori, la dottrina distingue, poi, i cosiddetti termini ’sollecitatori’, cioè quei termini diretti a ’sollecitare’ il tempestivo compimento di una data attività, senza prevedere alcun effetto negativo in caso di mancato rispetto. Invero, date le eguali conseguenze previste, il termine sollecitatorio si distingue ben poco da quello ordinatorio.
Normalmente, si parla di termine con carattere perentorio, quando la legge o lo stesso atto prevedano una decadenza; si parla invece di termine con carattere ordinatorio in tutti gli altri casi. Se la legge, non si esprime in merito, la dottrina afferma unitamente che ’si considerano ordinatori i termini per l’emanazione di atti favorevoli, mentre si considerano perentori quelli previsti per gli atti a carattere sanzionatorio’ pertanto nel caso in cui il termine non sia espresso come perentorio o ordinatorio, la qualificazione del termine dipende dall’esistenza o meno di sanzioni decadenziali.
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Num. 7 del 2005 | |
ARGOMENTI GENERALI | |
I termini ordinatori nei rapporti fra pubblica Amministrazione e cittadino | |
SALVATORE PIRAINO | |
Nel diritto amministrativo il termine, pur nella sua fisionomia complessa di un istituto appositamente regolamentato nelle molteplici fattispecie cui inerisce, appare tuttora privo di un preciso inquadramento dogmatico, rimanendo generalmente collegato, nella scia del corrispondente istituto di diritto comune, al fatto o, più in particolare, all’atto a sé considerato o ad una pluralità di attività, siano queste o no ordinate in una successione procedimentale, o al processo (1). L’analisi strutturale e funzionale del termine appartiene alla teoria generale, nell’ambito della quale un rilevante contributo è stato offerto dalla sistemazione del fattore temporale nello schema procedimentale, che mediante il suo riferimento ad attività e ad atti di svolgimento del potere giuridico non manca di esaltare la stretta ed inseparabile relazione del termine con l’interesse oggetto o punto di riferimento della tutela giuridica. Le varie classificazioni dei termini riflettono il diverso ruolo del termine nella sua relazione con l’atto o col rapporto o con le attività considerate nella sequenza procedimentale. Ma tali classificazioni vanificherebbero l’intento sistematico, che pure dovrebbe informarle, se le loro finalità descrittive si disancorassero dalle impostazioni teoriche concernenti la struttura e la funzione del fattore temporale nel suo collegamento con gli interessi, in funzione della cui tutela giuridica esso rileva e svolge variamente il suo ruolo (2). Il sistema normativo, con le sue previsioni riguardanti il rapporto degli atti o (più ampiamente) dei fatti giuridici con il tempo, evidenziando se e come gli interessi collegati con il tempo siano meritevoli di protezione, fa per ciò stesso inevitabilmente discendere dall’esistenza di determinazioni temporali conseguenze nei confronti delle fattispecie cui esse accedono o ineriscono o su cui incidono, nel senso che al termine non possono non ricondursi conseguenze giuridiche, che peraltro fanno capo ad esigenze di ordine e di certezza. Nel diritto amministrativo è frequente la presenza di norme contenenti precetti che fissano termini per esercitare funzioni o poteri o facoltà, adempiere doveri od obblighi od oneri, tanto per l’Amministrazione che per il privato, in relazione ad attività o ad atti. E proprio la sempre maggiore sensibilità manifestatasi nei confronti della struttura del procedimento, elevato da modello delle sole attività giurisdizionali a nozione di teoria generale di più diffusa adozione nei vari settori dell’ordinamento, ha indotto la dottrina a mutuare dal processo la fondamentale distinzione dei termini in perentori ed ordinatori o comminatori (3). In effetti, tale distinzione trae il suo generale principio dal disposto dell’art. 152, secondo comma, c.p.c., il quale prevede tutti i termini stabiliti dalla legge come ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori. Sebbene il legislatore abbia usato un’espressione inequivocabile definendo tutti i termini stabiliti dalla legge normalmente come ordinatori, cioè comandati, di cui si impone con autorità l’osservanza, tali termini si è soliti considerarli come sollecitatori, come termini aventi valore indicativo, la cui inosservanza sarebbe priva di sanzione, e di sanzione specifica invero essa in molti casi appare priva (4). Non si comprende però come la parola ordine (da cui viene ordinatorio), la quale esprime efficacemente la forza causale del comando giuridico, possa consentire di ritenere l’eventuale inosservanza di quanto prescritto da una norma giuridica suscettibile di non produrre conseguenze giuridiche, se si pensa che la coazione è inerente all’idea della norma giuridica, ponendosi sempre alla base della sua efficacia. Ufficio della norma giuridica non è quello di consigliare o indicare un contegno (precetto), ma di imporlo (comando) facendo derivare delle conseguenze negative dalla sua inosservanza (5). E anche quando queste non si palesano, esse ci sono, perché l’elemento della coazione è essenziale per la regola giuridica, che trova sempre, in vario modo, nell’ordinamento le misure che ne assicurano l’efficacia, in quanto parte intrinseca di un sistema normativo teso a preservare la propria effettività. Il problema delle conseguenze della violazione dei termini ordinatori, esclusa la decadenza, non può prescindere dalla considerazione che si tratti pur sempre di un limite temporale imposto dalla legge all’esercizio di un potere (o facoltà) in funzione di interessi meritevoli di tutela giuridica, rappresentando l’elemento temporale un aspetto della giuridica rilevanza del fatto cui si collega, nel senso che esso serve a valutare la rilevanza giuridica del fatto che caratterizza una data fattispecie (6). Quando la norma opera una specifica collocazione nel tempo di attività o comportamenti di svolgimento di poteri o di attuazione di interessi, finalisticamente considerati, il termine in quanto parte integrante della regola giuridica deve essere osservato dai destinatari della regola stessa, la cui violazione, anche se non direttamente o specificamente sanzionata, è sempre logicamente possibile che tragga le conseguenze implicite della trasgressione dall’ordinamento giuridico, da quelle misure dell’ordinamento che ne assicurano, in ogni caso, la concreta ed adeguata applicazione dei comandi giuridici, permettendo di individuarne comunque la intrinseca sanzione. In effetti, se è vero che i termini ordinatori non sono termini stabiliti a pena di decadenza, è pur vero che in molte ipotesi la violazione di tali termini è sanzionata dalla norma in modo eterogeneo ed in forma prevalentemente indiretta, facendosi derivare dalla trasgressione, che non impedisce il tardivo esercizio della situazione giuridica soggettiva, sanzioni pecuniarie a carico di chi ha superato il termine o altre situazioni di svantaggio: tutto ciò evidentemente a dimostrazione del carattere impositivo di dette determinazioni temporali, alle quali la legge connette, a seconda dei casi, sanzioni diverse dalla decadenza, ma pur sempre sanzioni che, in dottrina, hanno indotto ad indicare tali limiti anche come termini comminatori (7). Nelle ipotesi in cui la norma imponga un limite temporale (all’esercizio di un potere) non specificamente sanzionato, nel silenzio della legge le conseguenze dell’inosservanza del termine non possono che individuarsi nella invalidità dell’atto intempestivo, cioè in quella patologia dell’atto derivante dalla violazione di una norma posta a disciplina dell’esercizio del potere che esso riflette, della quale la determinazione temporale costituisce una esplicita componente. Il superamento del termine non impedisce alla pubblica Amministrazione di provvedere, sia pure in ritardo, ma solo la espone al rischio di instaurazione di un contenzioso giudiziario (8). Si è, in proposito, osservato che l’esistenza di un limite temporale (all’esercizio del potere amministrativo) non sanzionato postulerebbe la necessità di verificare se il legislatore abbia inteso porre dei limiti esterni o invece fissare esclusivamente «un termine per così dire interno» a carico dell’Amministrazione (9). Ma una siffatta esigenza appare quantomeno opinabile, perché nessun limite può definirsi interno se riguarda un’attività destinata ad incidere nella sfera giuridica di altri soggetti, e poi perché il carattere interno di un limite investirebbe l’autonomia organizzatoria dell’Amministrazione, nel rispetto della quale la legge potrebbe semmai prevedere la necessità generica di un termine, rimettendo il completamento della previsione ad altra fonte (interna). La eterogeneità delle sanzioni che conseguono all’inosservanza dei termini ordinatori, se rende vana la ricerca di un effetto tipico per tutti i termini ordinatori, tuttavia riflette l’esigenza di una graduazione delle conseguenze rapportate all’entità del pregiudizio prodotto, a seconda dei casi, dall’inosservanza e, quindi, in relazione alla rilevanza o alla particolare configurazione degli interessi che formano oggetto o punto di riferimento della tutela giuridica. I termini ordinatori si differenziano dai termini perentori, perché questi ultimi sono stabiliti dalla legge a pena di decadenza, nel senso che il decorso del tempo preclude o pone fine all’esercizio di un potere (o facoltà), determinando l’inefficacia del suo esercizio oltre un certo momento del tempo: il potere esercitato si considera addirittura inutiliter dato (10). Perentorio (da perimere) suggerisce l’idea della preclusione, della cessazione della possibilità di azione, e per l’uso fattone dal legislatore sta ad indicare che il decorso del tempo dà luogo ad una decadenza assoluta, che opera ipso iure (11). L’effetto tipico della perentorietà del termine si afferma con la formula della decadenza, che riguarda l’esercizio del potere esprimendone l’inefficacia oltre il termine stabilito e, quindi, denotando la nullità dell’atto (mediante il quale il potere si esercita) per il suo compimento tardivo. Se poi si considera che un’ulteriore distinzione fra i due termini (ordinatorio e perentorio) si individua nella prorogabilità dei termini ordinatori, che invece è tassativamente esclusa per i termini perentori, appare evidente che la proroga presupponga necessariamente un termine posto come limite allo svolgimento di un’attività o all’esercizio di un potere, la cui inosservanza, se non fosse produttiva di conseguenze giuridiche, non giustificherebbe in alcun modo l’applicabilità dell’istituto della proroga, che serve a consentire il compimento di dati atti, nella permanenza del termine originario e nella prospettiva di non far valere, subordinatamente all’osservanza del secondo termine, facoltà o azioni nascenti dalla scadenza del primo (12). Proprio in quanto l’azione amministrativa sia regolata e limitata nel tempo e, quindi, variamente condizionata da termini, la loro inosservanza in via generale, salvo i casi in cui sia dalla legge specificamente prevista la particolare conseguenza che ne deriva, non può che risolversi nell’illegittimità degli atti ai quali tali termini si riferiscono. Anche la situazione giuridica del cittadino, nei suoi rapporti con la pubblica Amministrazione, comunque essa si atteggi (come interesse legittimo o diritto soggettivo), appare variamente assoggettata a condizionamenti temporali, in ordine ai quali la normativa prevede una molteplicità di misure giuridiche, stabilite a seconda dei casi, in ragione di fondamentali esigenze di certezza e di garanzia dei fini a cui tendono i destinatari della norma. Il nesso intercorrente tra il regolamento sostanziale degli interessi ed il mezzo o il modo di collegamento di questi con il tempo si riflette immancabilmente nella relazione tra l’atto o il rapporto ed il termine. La determinazione temporale, in tutte le ipotesi in cui sia espressamente posta dalla legge, è immediatamente operativa, nel senso che i termini devono essere osservati dai destinatari delle norme stesse, non solo se specificamente sanzionati. La mancanza di una specifica sanzione non rappresenta una lacuna normativa, né autorizza a ritenere irrilevante un termine, il quale, per essere parte integrante della regola giuridica (elemento della fattispecie), di questa non può che condividere le misure che il sistema contiene a garanzia della certa attuazione delle norme che lo compongono. Laddove l’incertezza o il carattere meramente indicativo di un termine riflettono essenzialmente la incompletezza della determinazione temporale, che contenga la previsione di un termine ma non lo fissi, così come il differente modo di atteggiarsi del termine non potrebbe che farsi derivare dalla varia qualificazione delle norme giuridiche che lo prescrivono. SALVATORE PIRAINO
––––––––––– (1) Sull’argomento, in generale, ved. V.M. Trimarchi, Termine (diritto civile), in «Novissimo Digesto», XIX, 1973, pagg. 95 e segg.; A. Di Maio, Termine (dir. priv.), C. Talice, Termine (dir. amm.) e C. Glendi, Termine (dir. trib.), in «Enc. del dir.», XLIV, 1992, pagg. 187 e segg. (2) Si osserva, in dottrina (A. Falzea, Voci di teoria generale del diritto, Giuffrè, Milano, 1970, pagg. 414 e segg.), che il tempo senza interessi umani non riveste alcun valore per il diritto. (3) Ved. M.S. Giannini, Diritto amministrativo, II, Giuffrè, Milano, 1970, pag. 921. (4) T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 27 maggio 2003, n. 335, ne «Il Foro amm.-TAR», 2003, pag. 1710; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 4 febbraio 2003, n. 68, in «Comuni d’Italia», 2003, f. 4, 96; Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6074, in «Appalti urbanistica edilizia», 2003, pag. 679; T.A.R. Liguria, Sez. II, 5 luglio 2002, n. 801, ne «Il Foro amm.-TAR», 2002, pag. 2418; Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 marzo 2000, n. 1561, ne «Il Foro amm.», 2000, pag. 854. (5) Ved. F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Soc. Ed. del «Foro italiano», Roma, 1951, pag. 38. (6) Ved. in proposito A. Auricchio, Appunti sulla prescrizione, Jovene, Napoli, 1971, pagg. 15 e segg. (7) M.S. Giannini, op. cit., pag. 921; S. Costa, Termini (diritto processuale civile), in «Novissimo Digesto», XIX, 1973, pag. 124; D. Grossi, Termine (dir. proc. civ.), in «Enc. del dir.», XLIV, 1992, pagg. 244 e segg. (8) Ved. Cass. civ., Sez. trib., 9 dicembre 2002, n. 17507, in «Dir. e prat. trib.», 2003, II, pag. 1131. (9) In tal senso, ved. Cass. civ., Sez. trib., 24 settembre 2003, n. 14164, in «Giust. civ.» Mass., 2003, f. 9. (10) M.S. Giannini, op. cit., pag. 921. (11) D. Grossi, op. cit., pag. 241. (12) In proposito, ved. V.M. Trimarchi, op. cit., pag. 103. |