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 reddito d'impresa

Ancora indeducibili i compensi all’amministratore unico di srl

Secondo la C.T. Reg. di Torino, l’indeducibilità vale anche per i compensi erogati negli anni 2004, 2005 e 2006, con il nuovo TUIR già vigente

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/ Mercoledì 15 febbraio 2012
 

 

 

Il compenso erogato all’amministratore unico di una srl è indeducibile dal reddito d’impresa della società, atteso che si tratterebbe di remunerazione dell’opera svolta dall’imprenditore, la cui deduzione è preclusa per legge. Lo ha stabilito la C.T. Reg. di Torino, con la sentenza n. 8/34/2012 del 6 febbraio 2012.

La questione attiene alla possibilità di dedurre dal reddito d’impresa gli importi degli emolumenti corrisposti agli amministratori da parte delle società di capitali che li erogano. Il tema era balzato agli onori delle cronache nel 2010, quando la Cassazione, ricalcando la sua pronuncia n. 24188/2006, aveva stabilito che l’art. 62 del “vecchio” TUIR, il quale esclude l’ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l’opera svolta dall’imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente, non consente di dedurre dall’imponibile il compenso per il lavoro prestato e l’opera svolta dall’amministratore di società di capitali. La posizione di quest’ultimo è infatti equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell’imprenditore, non essendo individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, e non ricorrendo quindi l’assoggettamento all’altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione; inoltre, le medesime conclusioni sono valide sia che si tratti del compenso all’amministratore unico sia di quello dei componenti del consiglio di amministrazione, essendo identica nei due casi la problematica di fondo (Cass. n. 18702 del 13 agosto 2010).

Con la pronuncia odierna, i giudici regionali torinesi, confermando la posizione già assunta dal collegio di primo grado, hanno richiamato proprio la summenzionata sentenza del 2006 della Corte di Cassazione (che aveva ispirato la successiva pronuncia del 2010), nonché la disposizione recata dall’articolo 60, comma 2, del “nuovo” TUIR, stabilendo quindi che, anche nel caso devoluto alla loro cognizione, i compensi erogati all’amministratore unico della società negli anni 2004, 2005 e 2006 non erano deducibili dal reddito di quest’ultima.

In proposito, è appena il caso di osservare che, se per gli anni in cui era in vigore il “vecchio” TUIR poteva sussistere qualche problema interpretativo (su cui non ci si sofferma in questa sede, per brevità), non vi è dubbio che con l’introduzione dell’articolo 95, comma 5, del “nuovo” TUIR, in vigore dal 2004, “i compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti soggetti all’Ires sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”, per espressa previsione normativa. Peraltro la stessa Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 158/2002, aveva stabilito che il vecchio articolo 62, comma 2, della precedente formulazione del TUIR (per cui “non sono ammesse deduzioni a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dall’imprenditore”) si riferiva, in realtà, al solo imprenditore individuale e non anche all’impresa esercitata in forma collettiva. Ciò, inoltre, trova conforto anche nella precedente R.M. n. 876/1979, con cui era stato puntualizzato che la società di capitali è un soggetto giuridicamente e tributariamente autonomo rispetto ai soci, ai quali pertanto può richiedere prestazioni tecnico-professionali.

Più recentemente, in risposta all’interpellanza parlamentare del 30 settembre 2010, n. 5-03498, avanzata proprio in riferimento alla suddetta pronuncia del 2010 della Corte di Cassazione, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che la deducibilità del compenso presuppone la sua inerenza all’attività d’impresa secondo il principio di cui all’articolo 109, comma 5 del TUIR, “inerenza che va valutata caso per caso in relazione alla specifica fattispecie considerata”.

La Suprema Corte, però, con l’ultima sentenza sul tema, ha stabilito che l’Amministrazione finanziaria non ha il potere di contestare la congruità dei compensi amministrativi, atteso che la nuova disciplina fiscale di tali emolumenti recata dall’articolo 60 del TUIR ha “totalmente liberalizzato il concetto di spettanza ai fini della deducibilità”; né, peraltro, si può fare riferimento alla disciplina dell’inerenza di cui all’articolo 109 del TUIR, in quanto in essa rileva, ai fini impositivi, il profilo della “qualità” del costo piuttosto che quello della “quantità”, proprio perché l’ordinamento riconosce all’imprenditore la libertà di impostare la sua strategia d’impresa, e dunque il costo è inerente se serve a produrre ricavi: una volta accettata questa qualità del costo, risulta difficile dire in quale misura esso sia deducibile in assenza di  un’indicazione normativa specifica e, “quanto ai compensi degli amministratori, non può certo dubitarsi che essi non possano considerarsi costi inerenti all’attività d’impresa” (Cass. n. 24957 del 10 dicembre 2010).

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