(170) Piccola e Media Impresa: proposte delle Regioni sul Ddl annuale (www.regioni.it)

Piccola e media impresa: proposte delle Regioni su Ddl annuale

(regioni.it) La Conferenza delle Regioni, nella riunione del 19 aprile, ha approvato un documento sul disegno di legge annuale per la piccola e media impresa. Il testo è stato pubblicato sul sito www.regioni.it (sezione "Conferenze") ed il link è:
http://www.regioni.it/download.php?id=250170&field=allegato&module=news 
Si riporta di seguito il documento integrale.
Proposta delle Regioni per il Disegno di Legge annuale PMI in attuazione dell’art. 18 della Legge 180/2011 recante “norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese”
Roma, 19 aprile 2012
L’art. 18 della legge 180/2011 recante “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese” dispone che, al fine di dare attuazione alla comunicazione UE “Uno Small Business Act per l’Europa”, entro il 30 giugno di ogni anno il Governo, su proposta del Ministero dello Sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata, presenta alle Camere un disegno di legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese. Tale disegno di legge contiene norme di immediata applicazione, deleghe al Governo per l’adozione di decreti legislativi, norme integrative o correttive di disposizioni contenute in precedenti leggi, autorizzazione all’adozione di regolamenti, decreti ministeriali o altri atti. Nell’incontro del 12 marzo 2012 del Tavolo permanente PMI, cui ha partecipato il Rappresentante designato dalla Conferenza delle Regioni, si sono invitati i componenti del Tavolo a presentare proposte e contributi, anche sotto forma di norme, di competenza statale, da veicolare attraverso la legge annuale PMI, sulle seguenti tematiche prioritarie:

• accesso al credito e finanza;
• semplificazione (politiche per il miglioramento del contesto dei rapporti imprese/P.A.);
• accesso delle MPMI al mercato sia interno (ad es. appalti) sia esterno (internazionalizzazione);
• innovazione nella sua dimensione di “mainstreaming”, trasversale a tutte le politiche di sviluppo delle imprese;
• crescita dimensionale delle imprese, sia per linee interne (sostegno alla ricapitalizzazione delle imprese), sia per linee esterne (attraverso il supporto alle forme aggregative, tra cui il contratto di rete);
• strumenti e misure per far fronte alla problematica dei ritardati pagamenti della P.A. per crediti vantati dalle imprese.
Al termine dell’istruttoria tecnica, si riportano di seguito i contributi e le proposte, anche sotto forma di norme di competenza statale, che le Regioni ritengono di inviare al Tavolo permanente PMI c/o il Ministero dello Sviluppo economico al fine di essere veicolate per il tramite del disegno di legge annuale PMI, articolate nelle seguenti tematiche:
1. accesso al credito e finanza;
2. condizioni di contesto: il mercato pubblico degli appalti;
3. crescita qualitativa per linee esterne attraverso una maggiore valorizzazione dei contratti di rete;
4. innovazione tecnologica delle MPMI del settore del cinema per il completamento della digitalizzazione delle sale
1. ACCESSO AL CREDITO E FINANZA
Le Regioni ritengono che gli strumenti sui quali occorra nel breve-medio termine puntare per il sistema delle piccole e medie imprese, ivi incluse quelle dell’indotto delle grande imprese in amministrazione straordinaria, sono il Fondo rotativo investimenti regionale, il Fondo centrale di garanzia e l’estensione della Legge Marzano alle aziende con meno di 50 dipendenti. Nel merito formulano le seguenti considerazioni e proposte:

1) Fondo rotativo investimenti (FRI)
La Conferenza Stato-Regioni, a seguito dell’incontro del Gruppo tecnico misto svoltosi il 27/02/2012, ha richiesto ai Ministeri competenti (Ministero Sviluppo economico e Ministero dell’Economia e Finanze) di individuare una soluzione utile, anche sotto forma di modifica della norma che estende il FRI alle Regioni, a rimuovere le criticità che sono emerse a seguito della fissazione, con decreto MEF del 1° dicembre 2011, del tasso di interesse sulla provvista di Cassa Depositi e Prestiti, pena il non utilizzo della dotazione finanziaria del Fondo da destinare agli interventi di cui all’art. 856, lettera b) della legge 27 dicembre 2006, n. 296, indicata dal decreto interministeriale del 1° aprile 2011Le criticità, prevalentemente di ordine finanziario, che ancor oggi si frappongono all’operatività del Fondo in ambito regionale, sono state formalizzate dalle Regioni in un documento, approvato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome lo scorso 15 marzo 2012:

1. impegno finanziario eccessivamente oneroso per le Regioni al fine di garantire la finanziabilità dell’intera operazione, con particolare riferimento al differenziale tra tasso su provvista CDP (EUR 6 mesi + spread definito con comunicazione MEF sui mutui con onere a carico dello Stato di importo pari o inferiore a 51 milioni di euro) e tasso fisso da riconoscere all’impresa, calcolato in misura percentuale sul tasso di attualizzazione e rivalutazione;
2. indeterminatezza degli stanziamenti annui e difficoltà nell’individuare la copertura finanziaria degli interessi per tutta la durata dei finanziamenti, a causa della variabilità di entrambi i parametri utilizzati per il calcolo del tasso CDP (Euribor e spread).
2) Fondo centrale di garanzia
Nelle more della pubblicazione del decreto “fundraising” che prevede la possibilità per vari soggetti, tra cui anche le Regioni, di cofinanziare il Fondo, è in corso di adozione il decreto interministeriale di natura non regolamentare che dà attuazione ai commi 1, 2, 3 e 5 dell’art. 39 del D.L. 201/2011, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”. Il comma 5 in particolare prevede che con detto decreto può essere modificata la misura delle commissioni per l’accesso alla garanzia dovute dai soggetti richiedenti.

Proposta di norma
In tale contesto le Regioni propongono l’abbattimento dei costi di accesso, limitatamente alla controgaranzia, con conseguente gratuità dell'accesso al fondo di garanzia da parte dei Confidi sull'intero territorio nazionale.
3) Estensione applicazione della legge Marzano alle PMI dell’indotto delle grandi imprese in crisi
Sono noti gli effetti drammatici della crisi delle grandi imprese, che possono beneficiare di strumenti quali la legge Marzano, sulle piccole e medie imprese dell’indotto, specie quelle monofornitrici e di dimensione più limitata, che debbono far fronte a due ordini di problemi: la sospensione del pagamento delle fatture pregresse e la mancata assegnazione di nuovi contratti di fornitura o sub-fornitura. In tale contesto le Regioni ritengono necessario che, ad integrazione degli interventi già attivati a livello nazionale e regionale, soprattutto sul piano delle garanzie per agevolare l’accesso al credito e del rafforzamento del sistema dei confidi, vengano definite misure che consentano alle piccole e medie imprese dell’indotto di proseguire la produzione, pur versando in condizioni finanziarie molto critiche.

Un’opportunità in tal senso è rappresentata dagli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà del 2004, scaduti nel 2009 e prorogati di recente fino al 2012, che costituiscono il quadro normativo comunitario di riferimento sulla base del quale è stata notificata la delibera CIPE che stabilisce i criteri e le modalità di finanziamento del Fondo nazionale per il finanziamento degli interventi per le imprese in difficoltà. Detta delibera ha operato, rispetto a quanto consentito dalla normativa europea che prescinde dalla dimensione d’impresa, un’interpretazione restrittiva, escludendo gli interventi a favore di imprese con meno di 50 dipendenti.
Proposta di norma
Le Regioni propongono pertanto di inserire nel disegno di legge annuale PMI la seguente norma:

“Art. … (Fondo per gli interventi per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà)
Gli interventi del Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli orientamenti U.E. sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, di cui al decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 sono estesi alle piccole imprese dell’indotto di imprese in amministrazione straordinaria che, alla data di presentazione della richiesta di accesso al Fondo, abbiano i seguenti requisiti:
- abbiano prodotto almeno il 50% del loro fatturato per due esercizi consecutivi nei confronti di un unico committente che sia stato ammesso, a partire dal 1° luglio 2008, alle procedure di amministrazione straordinaria. Gli esercizi da considerare sono i due antecedenti l’anno di ammissione del committente alla procedura di amministrazione straordinaria;
- siano in situazione di difficoltà ai sensi del punto 2.1 degli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà del 2004 di cui alla comunicazione 2004/C 244/02 e successive modificazioni.”
2. CONDIZIONI DI CONTESTO
IL MERCATO PUBBLICO DEGLI APPALTI
In un settore che specie nel comparto dell’edilizia, e ancor più dei lavori pubblici, risente degli effetti perduranti della crisi, si registra anche nel 2011 e nei primi mesi del 2012 l’adozione di una serie di interventi normativi frammentati sul codice dei contratti, privi di una regia complessiva che introduce tali modifiche con un unico provvedimento organico.Relativamente all’ambito specifico delle norme del codice che hanno un impatto sulla partecipazione al mercato degli appalti da parte delle imprese, le Regioni segnalano la necessità che le disposizioni introdotte dall’art. 13 dello Statuto delle imprese superino il rango di mera norma di principio per trovare una idonea applicazione nel codice dei contratti, in assenza della quale si vanificherebbe il tentativo di agevolare e semplificare l’accesso delle aziende di minori dimensioni, pur nel rispetto dei principi di concorrenza, trasparenza e non discriminazione sanciti a livello comunitario. Al di là della frammentarietà delle modifiche introdotte nel decreto legislativo 163/2006, si segnala che l’accoglimento di molte delle proposte formulate dalle Regioni nei documenti approvati dalla Conferenza dei Presidenti nel corso del 2011, vanno nella direzione di una semplificazione delle procedure di gara nei confronti delle PMI e delle Amministrazioni più piccole: così l’elevazione delle soglie per l’utilizzo della procedura negoziata senza pubblicazione di bando di gara, della procedura in economia, della procedura ristretta semplificata, nonché per l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria.

Allo stesso obiettivo è finalizzata l’istituzione, prevista dall’art. 6bis del codice dei contratti, della banca dati nazionale dei contratti pubblici presso l’AVCP che intende favorire la riduzione degli oneri amministrativi derivanti dagli obblighi informativi e garantire efficacia, trasparenza e controllo dell’azione amministrativa in tempo reale, consentendo anche il controllo dei requisiti da parte delle stazioni appaltanti e degli enti aggiudicatori.
Le Regioni ritengono peraltro che, sulla scorta delle misure appositamente introdotte per le PMI nella proposta di direttiva sugli appalti pubblici (COM (2011) 896 del 20/12/2011), possano essere introdotte nel codice dei contratti alcune disposizioni che possono agevolare la partecipazione delle micro, piccole e medie imprese, pur senza sconfessare i principi di uguaglianza e non discriminazione nell’accesso al mercato degli appalti pubblici sanciti dal Trattato UE:
Proposta di norma da inserire nel disegno di legge annuale:
Art. …. (Delega al Governo in materia di disposizione correttive e integrative del codice dei contratti pubblici per favorire l’accesso delle PMI agli appalti pubblici). Il Governo è delegato ad adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006. n. 163, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
1) generalizzata previsione della suddivisione degli appalti pubblici di valore non inferiore a € 500.000,00 in lotti omogenei o eterogenei, salvo che l’amministrazione aggiudicatrice non ritenga appropriato suddividerli in lotti, nel qual caso ne fornisce adeguata motivazione nel bando;
2) fissazione di termini per la ricezione delle domande di partecipazione e delle offerte, che tengano conto della complessità dell’appalto e del tempo necessario per presentare le offerte;
3) numero minimo o quota percentuale di PMI da invitare nelle procedure ristrette o negoziate;
4) massimo ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prevedendo, tra i criteri di selezione, premialità quando partecipino micro, piccole e medie imprese o reti di imprese a prevalente composizione di micro, piccole e medie imprese;
5) assicurare che gli operatori economici interessati possano disporre, nella fase intercorrente tra l’attivazione della procedura d’appalto e la presentazione dell’offerta, anche per via elettronica o tramite reti esistenti dedicate all’assistenza alle imprese, del supporto amministrativo, nonché delle informazioni pertinenti in materia di fiscalità, diritto del lavoro e di previdenza sociale in vigore nella regione o comune in cui verranno eseguiti i lavori e forniture o in cui saranno forniti servizi e che si applicheranno ai lavori/forniture eseguite o ai servizi forniti durante l’esecuzione del contratto.
Per la partecipazione agli appalti pubblici da parte dei contratti di rete vedi di seguito.

3. CRESCITA QUALITATIVA PER LINEE ESTERNE ATTRAVERSO  UNA MAGGIORE VALORIZZAZIONE DELLE POTENZIALITÀ DEL CONTRATTO DI RETE
L’evoluzione normativa in materia di contratti di rete, le prime concrete esperienze applicative, l'introduzione di una specifica disciplina fiscale di accompagnamento e sostegno, nonché l’esplicita previsione, nello Statuto delle imprese, di appositi criteri di premialità negli appalti pubblici e negli incentivi sono tutti elementi che confermano il crescente interesse nei confronti di questo innovativo paradigma di aggregazione, soprattutto a valenza regionale, con il quale le micro, piccole e medie imprese sono riuscite a superare talune criticità tipiche della loro modesta dimensione aziendale, affrontando complesse attività progettuali, specie nei settori dell’innovazione tecnologica e dell’internazionalizzazione.

Le Regioni ritengono opportuno evidenziare in merito i seguenti aspetti:
1) il contratto di rete rappresenta un modello di integrazione e associazione tra imprese che va incentivato quale fattore di competitività e di crescita qualitativa, a prescindere dall’ambito settoriale in cui ricadono le singole progettualità;
2) in connessione a quanto sopra va valutata positivamente l’integrazione, attraverso il “rating di rete” (cioè la partecipazione dell’impresa al Contratto di rete), dei parametri di valutazione del merito di credito delle imprese, utilizzati dagli istituti bancari per la concessione di finanziamenti: un’azienda che vuole innovarsi, fare internazionalizzazione, superare i propri gap dimensionali e di capitale e affronta tali sfide anche tramite processi di aggregazione, merita dal sistema bancario una valutazione aggiuntiva e qualitativa rispetto a quella consentita dai modelli statistici ordinariamente impiegati dalla Banche e basata unicamente sui dati di bilancio;
3) un ambito in cui va potenziato l’utilizzo dello strumento, colmando alcune lacune normative che ne impediscono a tutt’oggi un impiego ottimale, è quello degli appalti pubblici, e più in generale delle transazioni commerciali con la Pubblica amministrazione.
La legge 180/2011, recante “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle Imprese”, invita la P.A. e le autorità competenti a semplificare l’accesso agli appalti delle aggregazioni tra micro, piccole e medie imprese, privilegiando tra queste le reti di impresa. Tuttavia anche questa disposizione è destinata a restare una mera norma di principio, avente scarsi riflessi operativi, se da un lato essa non si traduce in una corrispondente integrazione del codice dei contratti pubblici che, nell’enucleare le tipologie di soggetti cui possono essere affidati i contratti pubblici, non prevede ancora questa fattispecie, e dall’altro non vengono dettagliati requisiti e modalità di partecipazione dei contratti di rete alle gare d’appalto. Peraltro un’esclusione di questa forma di aggregazione non sarebbe giustificata alla luce della direttiva comunitaria che attualmente disciplina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, la n. 2004/18/CE del 31 marzo 2004, la quale dispone all’art. 4, comma 2, che “ i raggruppamenti di operatori economici sono autorizzati a presentare offerte o a candidarsi. Ai fini della presentazione di un’offerta o di una domanda di partecipazione le amministrazioni aggiudicatrici non possono esigere che i raggruppamenti di operatori economici abbiano una forma giuridica specifica”. Questa, recita ancora la direttiva, può essere imposta al raggruppamento selezionato, una volta aggiudicato l’appalto, nella misura in cui tale trasformazione sia necessaria per la buona esecuzione dell’appalto. Tale concetto viene ripreso e rafforzato dalla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio – COM (2011) 896 del 20/12/2011, definita a seguito del processo di consultazione attivato nel gennaio 2011 dalla Commissione UE con la diffusione del Libro verde sulla modernizzazione degli appalti pubblici.
La suddetta proposta di direttiva, nel regolamentare le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici a partire dal 2014 in un’ottica di maggiore flessibilità e semplificazione, ne mette in luce il ruolo fondamentale nel conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. Proprio nell’ambito dei meccanismi utili ad integrare le politiche per il miglioramento della competitività e dell’innovazione delle imprese e la politica dei “green public procurement” e degli appalti innovativi che il settore dei contratti pubblici si configura come terreno particolarmente fertile per lo sviluppo e promozione di rapporti di interdipendenza strategica tra piccole e medie imprese quali quelli che si instaurano nell’ambito dei contratti di rete.
Dall’analisi congiunta della normativa che disciplina in via definitiva il contratto di rete (art. 42, della legge 30 luglio 2010, n. 122, che converte in legge il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78) e delle disposizioni recentemente introdotte nelle Statuto delle imprese (che ha formalizzato prassi e orientamenti già previsti nel codice europeo per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici del 2008) si ricavano le potenzialità del contratto di rete come raggruppamento di operatori economici particolarmente idoneo ad accedere al mercato degli appalti pubblici, anche e soprattutto in risposta alle priorità di Europa 2020. Trattandosi di forma di aggregazione volontaria più innovativa e flessibile di quelle tradizionali, con cui due o più imprese, senza rinunciare alla propria autonomia gestionale e operativa, redigono un programma di rete, elemento fondante del contratto, all’interno del quale potranno confluire una o più delle loro attività economiche, al fine di accrescere la propria capacità innovativa e competitività sul mercato, il contratto di rete si configura come strumento di aggregazione capace di attivare processi volti all’interdipendenza delle attività economiche senza vincoli di tipo settoriale, dove il progetto comune di rete può a sua volta caratterizzarsi per un’elevata propensione alla suddivisione in lotti, definiti sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, proprio con l’obiettivo di ampliare le possibilità delle PMI di partecipare valorizzando le specializzazioni reciproche, in cui un’attività può corrispondere ad un lotto funzionale di un appalto. Peraltro, al fine di consentire il massimo impiego della fattispecie del contratto di rete nelle procedure di appalto e superare alcuni dubbi interpretativi che si pongono di volta di volta nell’applicazione pratica dello strumento, si reputa opportuno formalizzare presenza, ruolo e condizioni di partecipazione delle reti nel codice dei contratti pubblici.
Quanto in particolare ai requisiti di accesso, si ritiene che questi possano essere mutuati dalla normativa vigente per l’attuazione del regime di sospensione di imposta di cui all’art. 42 del D.L. 31 maggio 2010, n. 79 (convertito nella Legge 30 luglio 2010, n. 122).

In tale contesto si richiamano sia la decisione C(2010) 8939 del 26/01/2011, con la quale la Commissione europea ha autorizzato il suddetto regime notificato dallo Stato italiano, sia la circolare n. 15/E dell'Agenzia delle Entrate del 14 aprile 2011: entrambi richiedono come obbligatoria la costituzione del fondo patrimoniale comune.
Proposta di modifica del decreto legislativo 163/2006
In sintesi, si ritiene che relativamente alle procedure d’appalto tra contratti di rete e P.A. e più in generale in tutte le transazioni commerciali tra tali forme di aggregazione ed enti pubblici, vada integrato e modificato il capo II della parte II del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 163/2006, sia introducendo espressamente i contratti di rete tra i soggetti cui possono essere affidati i contratti pubblici, sia stabilendo che sono necessari i seguenti due requisiti:
1) un fondo patrimoniale comune;

2) un organo comune incaricato di gestire tale fondo, nonché di rappresentare le imprese nelle procedure di programmazione negoziata con la P.A., con conseguente semplificazione degli oneri amministrativi e burocratici. Nel caso in specie troverebbero quindi applicazione le norme sul mandato con poteri di rappresentanza conferiti all’organo comune.  Inoltre, fatta salva la possibilità del coinvolgimento, nel contratto di rete, di altri partner in relazione alla connotazione di volta in volta prevalente della strategia del progetto di rete, nella fattispecie degli appalti pubblici andrebbe espressamente circoscritta la composizione della rete ai soggetti che non mostrino incompatibilità di ruoli o conflitto di interessi in relazione al rapporto contrattuale che si viene a determinare a seguito della procedura di gara.
Si ritiene altresì importante valutare l’applicabilità del modello aggregativo del "contratto di rete" sia a livello internazionale, per l’aggiudicazione ed esecuzione degli appalti transfrontalieri, sia come struttura di riferimento per i cosiddetti "partenariati per l’innovazione", definiti dall’art. 29 della proposta di direttiva sugli appalti pubblici COM (2011) 896 del 20/12/2011, come "partenariati strutturati per lo sviluppo di prodotti, servizi o lavori innovativi e per il successivo acquisto delle forniture, servizi o lavori ". Ulteriore proposta
Le Regioni propongono inoltre di prevedere, laddove compatibile con le specifiche finalizzazioni, apposite riserve finanziarie per le reti in Fondi già esistenti.

4. INNOVAZIONE TECNOLOGICA DELLE MPMI DEL SETTORE DEL CINEMA PER IL COMPLETAMENTO DELLA DIGITALIZZAZIONE DELLE SALE
RELAZIONE

La proposta normativa viene incontro alla scarsa se non inesistente fruizione da parte di molte aziende medio-piccole del tax credit digitale. Tali aziende, detentrici di circa 1000–1500 schermi sui 3900 costituenti il parco complessivo italiano, per la dimensione della loro economia, per l’assenza o limitatezza di dipendenti, nonché per la compresenza di altri crediti d’imposta (ex d.m. MEF n. 310/2000) di fatto sono nella condizione di non poter avvantaggiarsi del beneficio e finiscono per ignorarlo. La non accessibilità delle imprese minori del comparto (sale parrocchiali, mono-sale a conduzione individuale e/o familiare, etc.) al credito d’imposta ha costituito, tra gli altri, un importante rilievo della Commissione Europea in sede di confronto con le Autorità italiane nel procedimento di autorizzazione della misura agevolativa, tuttora in corso. Anche alla luce di quanto sopra, si intende, con la proposta, rendere ammissibile la cedibilità del credito d’imposta concesso ex d.m. 21.1.2010 nei cfr. dell’Erario.
Tale cedibilità viene resa ammissibile non nei confronti di qualsiasi “terzo” ma verso specifici soggetti predeterminati, e cioè: a) intermediari bancari, finanziari e assicurativi; b) la società fornitrice dell’impianto di digitalizzazione in relazione al quale si richiede il credito d’imposta (normalmente, per struttura e dimensioni, quest’ultima può avere utilità ad usufruire del credito, a differenza dell’impresa di esercizio cinematografico richiedente).
Per la cedibilità del credito di cui all’emendamento proposto dovrebbero valere tutte le condizioni legate alla circostanza che la cessione non interferisce sul rapporto tra Amministrazione concedente e beneficiario, di cui il legislatore assicura la continuazione, lasciando integri i poteri spettanti all’Amministrazione nei confronti del contribuente-cedente.
Tra tali condizioni, si evidenziano le seguenti:
- nella cessione del credito, effettuata ai sensi degli articoli 1260 e seguenti del codice civile, il cessionario subentra nel diritto di credito del cedente e si sostituisce a quest’ultimo nella medesima posizione. In particolare, il soggetto pubblico debitore (ceduto) può opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del creditore originario (cedente);
- la cessione del credito deve risultare da atto avente data certa e, per essere efficace, deve essere notificata all’Agenzia delle Entrate (debitore ceduto); ai fini della compensazione mediante il modello F24 è necessario, altresì, che il credito ceduto risulti dalla dichiarazione del soggetto cessionario (cfr. art. 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997);
- alla luce delle disposizioni del codice civile, e in particolare dell'art. 2704 c.c., non è necessario che l'atto di cessione rivesta la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, in quanto rileva qualunque fatto che possa essere idoneo a stabilire, con carattere di obiettività, l'anteriorità del documento; in questo senso, a livello di normativa fiscale, per gli atti di cessione dei crediti in esame non vi è l'obbligo di chiedere la registrazione ai sensi dell'articolo 5 della Tabella del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (non sussiste, difatti, obbligo di chiedere la registrazione per "atti e documenti formati per l'applicazione, riduzione, liquidazione, riscossione, rateazione e rimborso delle imposte e tasse a chiunque dovute");
- il cessionario può utilizzare il credito ceduto solo in compensazione con i propri debiti d’imposta o contributivi ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997;
- occorre che nel contratto di cessione del credito e nella comunicazione di tale cessione all’Agenzia delle entrate sia indicato ogni elemento utile per consentire alla stessa di monitorarne il corretto uso. In particolare, occorre specificare il credito d’imposta ceduto con il relativo riferimento normativo, il codice tributo da utilizzare ai fini della compensazione e il periodo d’imposta in cui il credito viene ad esistenza;
- ai sensi dell’articolo 43-bis, comma 2, del DPR n. 602 del 1973, resta ferma “nei confronti del contribuente che cede i crediti (…) l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 43”, ossia delle disposizioni relative al recupero di somme erroneamente rimborsate, in conseguenza di correzione di errori materiali, di rettifiche o di accertamenti;
- anche a seguito della cessione, restano impregiudicati i poteri delle competenti Amministrazioni relativi al controllo delle dichiarazioni dei redditi e all’accertamento e all’irrogazione delle sanzioni nei confronti del contribuente che ha ceduto il credito d’imposta;
- resta fermo l’obbligo restitutorio del cedente per i crediti rimborsati al cessionario di cui risulta l’insussistenza.
PROPOSTA NORMATIVA PER CEDIBILITA’ CREDITO D’IMPOSTA “DIGITALE”

Art….
1. All’art. 1, comma 331, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, è soppressa la parola “esclusivamente” e sono aggiunti, infine, i seguenti periodi: “Il credito d’imposta di cui al comma 327, lettera c), n. 1, è cedibile dal beneficiario, nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 1260 e seguenti del codice civile e previa adeguata dimostrazione dell’effettività del diritto al credito medesimo, a intermediari bancari, finanziari e assicurativi, ovvero alla società fornitrice dell’impianto di digitalizzazione. Tali cessionari possono utilizzare il credito ceduto solo in compensazione con i propri debiti d’imposta o contributivi ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997. Anche a seguito della cessione, restano impregiudicati i poteri delle competenti Amministrazioni relativi al controllo delle dichiarazioni dei redditi e all’accertamento e all’irrogazione delle sanzioni nei confronti del beneficiario che ha ceduto il credito d’imposta di cui al periodo precedente.”.
2. dalle previsioni del presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri per l’erario dello Stato.



( red / 26.04.12 )